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Gianfranco Rossodivita

Sant’Antonio

(Il giorno prima della festa)

Il giorno prima della festa

Raccoglievo i gigli

ai bordi del vecchio pozzo

Nello sguardo attento

di mio nonno, imparavo

a reciderne gli steli

L’ambizione tacevo,

alle undici bracciate

riservate al secchio

immerso nell’acqua

da conquistare

Così lui, mi preparava

alla sua saggezza:

Tiravo in su la corda,

issavo l’abisso

Vibravo nei tendini

Il grido tacevo allo sforzo

senza guardare mai a terra.

Mio nonno

aveva fatto la guerra e, 

lì un giorno era morto.

Dormiva di notte, accanto

alla sua donna

Ma lui era morto e,

ancora non lo sapeva.

 

Nel fruscio del canneto

ripiegava il giorno a

ponente

Mi voltavo di scatto

Vedevo mio nonno,

ripartire per incerte fortune

Tornavo in paese

nella corsa di un fiato

Col cuore in gola

bussavo alla porta,

per il vestito conteso

L’indomani era festa

Già mi vedevo

vestito di saio,

salutare il Santo, con in mano

la pagnotta benedetta

e nell’altra un giglio

impugnato

per il gambo votivo.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Sant’Antonio. (Il giorno prima della festa)” di Gianfranco Rossodivita

 

Il verso musicale del Rossodivita abbraccia il valore della tradizione nell’attesa della festa, alla profondità e alla necessità del tempo formativo, poiché la festa è esperienza partecipativa, dalla quale nasce l’uomo al senso. Il simbolo antoniano del giglio è saggia e cosciente recisione della scelta di bontà e di purezza, conquistata dalla vittoria sull’abisso della tentazione, che consegna l’uomo, che fa di sé una promessa d’amore, alla dimensione eterna della beatitudine e della memoria.

Setacci

In memoria di Giuseppe Mighali

detto (PinoZimba) tamburellista

 

È tua la donna,

la rupe, l’albero

il fiume ed il suo ramo

È tuo il quotidiano:

la madre, il vecchio ed il bambino

Autonoma, in senso ordinato

e sparso elabora la formica

Gran tessitore il ragno

da un raggio periferico

crea il cerchio, il raggio  

ed il centro dell’universo.

Setacci,

cicale alla mietitura

annunciano le messi.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Setacci” di Gianfranco Rossodivita

 

Densa di musicalità rituale, la parola del Rossodivita rifonda con gesti microcosmici, fra la coscienza della formica e l’inconscio del ragno, il senso e il valore di un macrocosmo universale. Il grano sonoro insemina il ventre del tamburo e l’emozione feconda il grembo di Madre Terra, perché risponda al setaccio del primo discernimento del giorno, con la voce d’oro di messi sapienziali.

Gente sola

Inverni impossibili da passare
La gente barricata in casa,
scioglie le chiavi
delle proprie porte
e ne fa catene
Da sola le trascina
da una stanza all’altra
e nel silenzio, il proprio
passo solitario, ascolta
Di rado, qualcuno esce
lasciando qualch’altro a spiare
dalle finestre o dal serraglio
Semmai, una visita li possa liberare
dalle loro prigioni di gente voluta
Sola.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Gente sola” di Gianfranco Rossodivita

 

Continua e legata, la parola del Rossodivita inscena l’irreversibilità della solitudine della senescenza, dell’io che manca di propriocezione esistenziale, di confine fisico, della definizione di una parola, di un ritmo di realtà, a catarsi dell’agone immaginante. In penombra inconscia e unitaria, la senettute è un luogo d’indistinzione, aggrappata al solo suono del proprio passo sul pavimento, unica prova di concretezza di un volto in tramonto, che più non nasce al riguardo di uno sguardo, nell’abbraccio mutuale di un riconoscimento, che vive rimosso e rinnegato nella prigionia altra e fatale della notte.

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