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Jeovano de Matos Francisco

Lasciatemi morire

Non voglio lacrime salate…

Né mestizie sgualcite nella gola

delle persone che amo.

Né ricordi della mia immagine nei quartieri

Né preghiera... Né prete, presbitero, o fedeli.

Niente!

Quando andrò nella terra del silenzio

Non portatemi fiori…

Piangete per me!

Non per il morto che avete perso.

Poiché il mio pensiero è lontano delle vostre lacrime.

Lasciatemi morire... sparire... stemperare nello spazio

lasciatemi andare “Dove nessuno conosce nessuno”

 

Per il mondo!

La morte è la grande perdita della vita...

Per voi la mia scomparsa è solo

tristezza, amarezza... che scemi!

Soltanto la morte conosce la strada per la mia libertà…

Lasciatemi morire la morte che Dio prenotò per me

Dal giorno che sono nato...

È ora! sono pronto per morire... non voglio più aspettare

La vado a cercare... Lasciatemi partire...

Andare all’opposto della vita!

Lasciatemi morire come se non avessi

Mai vissuto…

Lasciatemi dormire, il sonno eterno nell’arte e nel mare

della vera poesia.

Lasciatemi morire nella follia di credere che andrò in cielo

Invece di essere sepolto

Lasciatemi…

Lasciatemi trovare la pace…

nell’oblio incosciente della vita.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Lasciatemi morire” di Jeovano de Matos Francisco

 

La parola vocativa ed epistolare del Francisco è esortazione alla gioia della condizione umana, come segno dell’oggetto di vita eterna, nel continuum instante della coappartenenza al mondo.

Il grembo naturale da cui tutto proviene è il luogo a cui tutto ritorna; se la conoscenza, come l’identità, sono brevi esperienze finite, la vita collettiva invece è libertà assoluta, senso, arte di essere oltre la morte, nell’inconscio, vitalistico, infinito subsistere accadente.

Il poeta Ubuntu

Nell'enorme vuoto, pieno di niente.

Il poeta dorme nello spazio 

senza libertà di veder volar i suoi sogni.

Dall’aria nasce il respiro

dal campo cresce il frutto.

La sua dolce saggezza risveglia coscienze distratte,

danno ali alla ragione.

Il poeta ignorato dal destino sfoga i suoi tristi versi al vino

e a tante parole sparse al vento

piange lontani ricordi, che ancora oggi, vivono

nella sua miserabile vita che la morte si scordò di ghermire!

Per il mondo, Ubuntu è solo un pensiero malinconico.

Ma per lui… Ubuntu è come uva matura  

che attende il tempo di divenire vino.

Perciò dorme, l'ubriaco poeta  

e sogna questa immensa utopia, 

nel paese della poesia.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il poeta Ubuntu” di Jeovano de Matos Francisco

 

La parola etica del Francisco si duole dell’ingombro della vacuità di un mondo, che dimentica il valore della dignità umana. La dignità nasce come status ontologico dell’uomo, connaturata, principio primo e indimostrabile di nobiltà essenziale, di cui è latrice la poesia. Ubuntu è il riconoscimento mutuale, intimo movimento di un legame relazionale universale, che sorregge la comunità, nelle maglie strette della sua costituzione, nella reciprocità di chi nasce da una causalità e una finalità reciproca. L’io è ciò che è, solo in virtù di ciò che tutti siamo: Ubuntu è l’universalità dell’essere, che attende ancora esistenza.

Dentro e fuori

Dentro, la vita è morte.
Fuori una sigaretta accesa.
Dentro, l'amore è forte.
Fuori l'amore è fortuna.
Dentro, la poesia è arte.
Fuori, è pazzesca.
Dentro, la donna è calda.
E fuori non è diversa.
Dentro, la gelosia è paura
Ma fuori, è aggressiva.
Dentro, la morte è mistero.
Ma fuori, è terrificante.
Dentro, il tempo sa di vino.
Fuori, il tempo è nostalgia.
Dentro sono nel mondo.
Fuori, ci sto ancora.
E fuori?
Fuori, la bellezza è vanità.
Dentro, la bellezza è vuota.
Fuori, io sono il re.
Ma dentro, so di non saper niente.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Dentro e fuori” di Jeovano de Matos Francisco

 

Lungo una dialettica sensoriale accesa, la parola del de Matos Francisco confronta essere ed ente, sostanza e apparenza dei luoghi filosofici della vita umana. Il poeta vive fra necessità e libertà, fra il dritto e il rovescio del sapere, che mesce con tenace umiltà l’inconscio e la coscienza su di sé e sulle cose.

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