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Daniela Cicognini

Immagine

Tra

i meandri

del tempo

dorò

fiammeggianti

aureole

 

Straziò

la patina

biancastra

del sogno

 

Tacque

di mille

inquietevoli

orde

 

Si fuse

col calar

della tenebra

bellezza

quasi stucchevole

 

Adagiò

ali perpetue

di rovinosi

cammini

 

Quasi

non volle

 

Nel ridestar

dal sogno

la sua

immagine bella

Critica in semiotica estetica della Poesia “Immagine” di Daniela Cicognini

 

Un conflitto creatore la Cicognini riesce a scatenare dalla potenza dell’immagine, fra le dimensioni di dono e di sottrazione e in alchimia, da “i meandri” fluenti del divenire, ad una rubedo fiammeggiante e attraverso un bianco albedo, al cerchio aureolare dell’essere. Un silenzio affollato apre la sinestesia dell’ombra amara e di una luce di zucchero, sino anche allo “stucchevole” della forma della coscienza, tutto nell’amplesso degli opposti e della volontà, nello iato di una riga sospesa, combattuta nel paradosso, fra l’appagamento fugace, nigredo di una bellezza, e la dannazione vitale e infinita del desiderio in tensione.

Riflessione

L’Attonito

potrà

l’errar del tempo

l’ombra

incredula

posare

all’Eremo

compianto

in compiaciute

trine

 

Un trepidar

d’insolito

al limbo

posano

le arcane

sponde

 

Vestigio

disperso

osar sorridere

all’ombroso guardo?!

 

…E forse

…non ancora…

Critica in semiotica estetica della Poesia “Riflessione” di Daniela Cicognini

 

Solitarie gemme di preziosi, le parole della Cicognini ritraggono l’umano nella condizione specchiata,

nel doppio di un’origine; eppure la poetessa impugna la chiave di volta dello stupore del riconoscimento, per piegare e ricongiungere la linearità del tempo, per il cammino individuativo, che mesce inconscio e solitudine della coscienza, nei segni dell’arte del desiderio di senso, a rompere gli abiti pregiudiziali.

La poetessa risponde con la domanda sull’arte, nella misura di dono alla memoria, lascito di un’impronta del transitante limbo dell’umano, che, sull’orlo del baratro, è incertezza e tensione, sorriso all’invisibile,

fra il non più e il non ancora.

Il bosco

Le polverose ombre dei pioppi

si trascinano

immemori

su tracce di liquido oro

morente

entro solchi

di lacrime intrise

su ceppi odorosi

d’aromi freschi.

 

Riversano fremiti ciechi

nell’acque di piatti ruscelli

balenano mostri rabbiosi

su terreni di foglie

tombali

e il passo

celare non può

il silente fragor

della morte.

 

Raccolgo immagini azzurre

quando cala la sera

al limitar del mio bosco

balenii che rifuggono

il tempo.

 

L’ebbrezza dell’umido muschio

il torpore m’assale

mi fiacca

mi stacca dal suolo

le radici distacca, solleva.

 

Turbinio di colori riversa.

 

È la tetraggine cupa.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il bosco” di Daniela Cicognini

 

La parola discendente della Cicognini si fa caverna essa stessa, vibrazione grave e profonda, a risuonare la dimensione ctonia dei contenuti inconsci più potenti e sconvolgenti. L’inconscio della poetessa si muove da un dolore individuale, ma subito supera la spazialità intima e singolare, mescendo l’emozione ad una percezione estesa ed archetipica, fino all’immemoriale della simbiosi all’inorganico del principio della vita sulla terra e a sfidare la soglia della morte stessa, per riversare in dono il lucire dei colori emozionali della vita universale, per un istante salvi dallo scorrere del tempo.

Notte

Del lacero velo

la notte

m’adorna

 

D’abisso profondo

di stelle

mai nate

 

Di luna

al suo pallore

al guardo mio

 

Stupisce

Critica in semiotica estetica della Poesia “Notte” di Daniela Cicognini

 

Orlata di profondo silenzio, la parola inarcata della Cicognini è un descensus melodico del desiderio sublimato al piacere nudo e diretto, alla dimensione inconscia del possibile infinito, all’immemoriale appartenenza essente ad una cosmogonia ontogenetica, che precede l’identità, il nome e la scelta. Profonda fino a “stupire” con se stessa la notte al viso della luna, che vale letteralmente a ‘fermare’ e a ‘colpire’ nell’afferramento fuggevole, che trafuga la bellezza dell’arte all’essenza ineffabile della vita.

Ectoplasma

Con leggiadria

di dardo

 

Trafiggerò

la luce

 

M’adornerò

dell’Ali

 

E vestirò

la notte

 

D’una canzone

sola

Critica in semiotica estetica della Poesia “Ectoplasma” di Daniela Cicognini

 

La solitaria potenza ignea della parola della Cicognini libera, d’un vertiginoso fiato, l’identitario punto concentrico alla catarsi della totalità della vita. Il viaggio all’indistinzione della poetessa è ectoplasmatico, letteralmente fuori ciò che ha forma, dal sacrificio della coscienza, alla levità antigravitazionale dell’inconscio, a rompere le vacue vittorie concrezionali della parola. L’umbratile rovescio della maschera nominale è al luogo franco della sinfonia di un canto unico, dell’invocazione alla profondità della continuità vitale: alla materia originaria e infinita da cui ogni cosa nasce, in cui ogni forma muore.

L'attesa

Languide

stelle

 

Polvere

Dissolve

 

Al volto

pallido

 

D’attesa

Luna

Critica in semiotica estetica della Poesia “L'attesa” di Daniela Cicognini

 

Di molle dolcezza, la parola preziosa della Cicognini, con profonda segretezza immaginifica, mesce il tempo della dissoluzione e il tempo dell’attesa. Al volto della luna si specchia un tempo tutto umano, unica la dimensione ingannevole dell’attesa. La presenza non è che in un pianto di stelle: la sola presenza concessa è la sinestesia di una perdita, che antecede e che nega la rivelazione. Non vi è che la viva condoglianza dei sensi che aggettano a un’assenza.

Autunno

Autunno silvestre
che pioggia
disseta

Di ceneri
ardenti

All’anima
Nuda

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Autunno” di Daniela Cicognini

 

Potente, la parola leviga ed elegante della Cicognini celebra la nudità dell’anima autunnale, che evoca la dimensione archetipica del monismo presocratico, universalmente consonante alle filosofie orientali. La poetessa conduce al luogo unitario armonico, che precede ogni scissione dualistica di opposti, di sostanza e di apparenza, di spirito e di corpo, di mente e di materia, al continuum del ricetto naturale ed umano di sintesi elementare, che sposa acqua e fuoco, ristoro ed arsura, presenza e rimando, approssimando al principio, all’assenza del nome, al sentimento, al silenzio.

Pensiero

Or sì la vita

di oro al mio pensiero

ammanta

 

Perduta estasi

sublima

 

Fu sofferenza tacita

la mia novella

 

Profuse al blu

e parve

anch'essa

nel blu

trascesa

Critica in semiotica estetica della Poesia “Pensiero” di Daniela Cicognini

 

Sensoriale e sublimante, la parola della Cicognini è un viaggio alchemico, dalla vita muta e fremente del sentire alla vita sapienziale del pensiero. La poetessa reintegra le profondità dell’inconscio e risale dello spirito, nuova, la trascendenza di luce.

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