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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Adriano Mencini (A.M.Gobi)
Critica in semiotica estetica dell’Opera “Liberi o prigionieri” di Adriano Mencini “A.M.Gobi”
La popolosa arte immaginifica e simbolista del Mencini è grembo del possibile, della metamorfosi inarrestabile dell’emozione, mai rinchiusa nella prigionia della forma compiuta, perfetta, esaurita in se stessa. Il segreto profondo della libertà della rappresentazione è l’essenza costitutiva dell’elemento acqueo, come ricetto amniotico, che sempre deborda, che sempre eccede la figura, che presentifica l’inconscia memoria della verità, per l’interminabile, rituale e progressiva evoluzione della coscienza, che rinasce. Sebbene il tempo dell’uomo sia lineare e imperante, il ventre dell’arte apre in esso una via oscillante, che svincola la vita nel volo della sinestesia.
Critica in semiotica estetica dell’Opera “Le modelle, sostegno affettivo” di Adriano Mencini
Sui desolati piani metafisici del pensiero umano, l’arte simbolica del Mencini apre lo spazio transizionale e inesauribile dell’immaginazione libera. Dell’artista è la ricerca dell’occasione d’investimento psicoaffettivo del luogo di ricetto, infinitamente fecondato dalla proiezione esondante dei sogni nostalgici di una pienezza perduta.
È l’obliqua tensione alla memoria dell’immemoriale riguardo femminile e materno, finanche all’occhio le cui lacrime mai dissecchino la verità dell’essere al vacuo deserto della rappresentazione: è lo sguardo del grembo elementare acqueo, in qualità di primo e ineguagliabile contenimento archetipico, unico a restituire la propriocezione di un’infinità.
Critica in semiotica estetica dell’Opera “Variazioni irresistibili” di Adriano Mencini
Propria della coscienza è la resistenza, letteralmente un fermare respingendo le pulsioni istintuali dell’inconscio, che al contrario è movimento inarrestabile di seducente attrazione irresistibile: a questo rovesciamento e trascendimento invita il Mencini, per il transito annuale attraverso l’uso apotropaico del personaggio di Arlecchino. La potenza ironica universale della maschera infrange le regole, i ruoli e le ipertrofie della coscienza. La dimensione liminale della figura accoglie la compresenza degli opposti e partecipa dell’aspetto rituale sacrificale, che dalla latenza invernale si apre al luogo germinativo della nuova primavera di vita. La solarità della consapevolezza è declinante alla pulsione ctonia di verità fremente del cuore e risorgente a nuova rivoluzionante forma identitaria di coscienza.