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Agata De Nuccio

Abbracci poetici nei giorni sospesi

Parliamo con gli occhi

ci siamo scambiati sguardi

con gli occhi asciutti e la lingua legata

dietro maschere come fantasmi,

abbiamo riconosciuto la stessa goccia

che ha generato la fiamma

se il tuo cuore tocca il mio ci capiremo

non sarà difficile ritrovarsi,

ho visto la sofferenza

bussare di uscio in uscio, e l'anima

strisciare per terra come un insetto

ci salverà la primavera con il suo parlare

ora, scrive parole d'amore

rivelando piastrine luminose

e siamo salvi.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Abbracci poetici nei giorni sospesi” di Agata De Nuccio

 

Dolorosa e fidente al contempo la parola della De Nuccio invita al riconoscimento mutuale oltre le alienanti apparenze di estraneità, parla alla radice archetipica e identitaria dell’uomo: le emozioni universali del cuore. La poetessa invoca il senso della sofferenza, che il tempo ciclico rifluente dona nella primavera della poesia. La parola poetica supera, attraverso la sinestesia, ogni scissione e distanza sensoriale, commuove, lenisce e cura l’umana ferita più regressiva e feroce: la siccitosa solitudine del disconoscimento.

Penelope

Ho un oggetto sul mio comodino
che mi ricorda di esser stata Penelope,
paziente tessitrice, sotto la luna lucente
e il canto delle foglie.
Ho una penna sul mio cuscino
ricordo, di quando ero vestita di piume
ora sono nuda e tutta la mia carne
spenzola agli uncini del dolore,
grondano d'inchiostro le parole appese,
uno spargimento del crisma della commozione.
Ho ancora parole chiuse nel petto,
e la voce postuma della Musa.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Penelope” di Agata De Nuccio

 

Ieratica, la parola della De Nuccio è sacrificio, nel rituale di un sacramento solenne di perpetuazione d’amore, che supera la contingenza nella relazione memoriale all’immemoriale. Penelope è simbolo di attesa nella lontananza, quale messo alato del divino, cuce e scuce, fra apparenza dell’ente, lunare e seconda, e verità dell’essere, che il vento, anima del mondo, sussurra fra le foglie. Nel senso fluido e sanguigno delle parole orfiche recise è la commozione, che letteralmente muove insieme ogni cosa, che continua a cantare all’intero.

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