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Angela Milo

L'assenza nell'essenza dell'esistenza

Sono il vuoto, il nulla, non ho volto.
Sono un ramo, una corteccia, un ricordo.
Non sento mare, pesci o onde,
son il riflesso di colei che si guarda e si confonde.
Sono quel sogno strano, quel sapore amaro,
il ventre indolenzito, il dolore sul collo.
Sono nell'aria, sono dietro di me, mi osservo,
son io la scintilla,
l'esplosione della stella a cui appartengo.
Ignoro ciò da cui sono attratta,
mi sento spaventata, senza meta, distratta.
Sono in qualsiasi cosa purché inanimata.
Sono il vento, le luci, le ante dei balconi,
le lacrime negli occhi, la morte di quei fiori,
le nubi, le marlboro, la tosse, bruciati i miei polmoni.
Sono esplosione di botti,
sono la causa della rovina del mondo.
Sono altrove, dispersa in un'altra città,
sono i dipinti e le pagine ingiallite,
sono i respiri, i deliri,
le idee, sono nelle vostre liti.
Sono la storpiatura della vecchiaia,
sono le esperienze, la malafede,
la confusione nella testa.
Ma sono anche con l'alba e coi tramonti,
presente ma assente,
invisibile e quieta,
silenziosa e morente.
Vivrò in un altro momento,
perché ora di voglia non ne ho,
questi giorni si nutrono del mio sgomento,
sono in tutto quello che mai capirò.
Sono in queste parole pesanti come il cemento
e null'altro alla vita chiederò,
se non soltanto di morir dormendo
ed invece temo che soffrendo morirò.

Critica in semiotica estetica della Poesia “L'assenza nell'essenza dell'esistenza” di Angela Milo

 

 La paola in eco della Milo è rappresentazione dell’uomo quale segno di un senso smarrito, sintomo ballerino di un dolore ineffabile, in struggimento di una presente assenza. Il luogo del presente è incapace di sintesi fra le dimensioni d’inconscio e di coscienza e la vita è imputata alla vacuità ineludibile della mancanza e del transito. Nella prigionia di un teatro trascendentale si è esibizione figurata in forma a vanire. L’uomo è decaduto dalla verità all’illusione, gettato in proiezione è sempre riflesso e secondo, nell’ignoranza, nel rimorso del costitutivo errore e nel tedio dell’attesa delusa di un’essenza aggettante, che si trova in scacco della libertà da se stesso, perché non è più e non è ancora.

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