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Anna Santarelli

Forse la solitudine

Sul ciglio del sentiero

a margine dei suoi segreti

ad un inquieto divenire

mi consegno.

Forse sarà la solitudine

a dipanare l’arruffata matassa

del tempo, a carezzare

tra le pieghe dell’anima

questo riposto smarrimento

e l’inconfessato desiderio

di ritrovarmi ancora.

Si vestirà d’indugio e di mistero

questa solitudine

a calzare sandali di luce

in un sentiero breve e umbratile,

sì, ma intenso.

E quando il male di vivere

si farà parola, memoria di giorni

attraversati a piedi nudi,

sarà limpida poesia nel cammino

che continua.

Critica in semiotica estetica della poesia “Forse la solitudine” di Anna Santarelli

 

Uno sguardo ciliare e sugellante al diveniente secernere semantico del transito è l’opera della Santarelli, nella ricerca dell’opacità di un preconscio confine di pelle nel cammino di sé individuativo. La carezza dell’intensità di dolore è la categoria in cui la poetessa trova la sintesi degli opposti nei “sandali di luce”, che calza la solitudine del suo viaggio interiore, luogo che precede la parola, in qualità di memoria dell’essere dei sentire e rinnovata possibilità di un nuovo viaggio esterno.

Un nome

Un nome è un cappotto

nel cuore dell’inverno

un colore che ci distingue

tra la folla, nella nebbia,

nella routine quotidiana.

Un confine tra sé e l’altro

frontiera mobile di essere.

 

Un nome è un’altra pelle,

ci appartiene, è la verità

incarnata in una storia

il sentiero, il passo che

ci spetta. Unisce transiti

d’anima, lembi di strada

collega a pertugi di cielo.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Un nome” di Anna Santarelli

 

Relazionista e configurante, la parola della Santarelli abbraccia l’atto identificante del nome, la sostanza permanente che ricolma la persona, che integra, dà progetto, direzione, trascendenza di sé nell’amore dell’altro, a sorreggere la continuità della medesimezza. Eppure, apre il primo atto deduttivo di sé all’abduzione immaginante, alla potenza mediatrice del linguaggio che dona un’ipseità, un’identità narrativa, che sente insieme identità e differenza nel cammino della libertà di essere nel divenire. Un nome racconta l’esperienza di crearsi nel linguaggio: leggere nell’altro il riconoscimento di sé è riscriversi, vicendevolmente.

Eterno ritorno

Immergersi nel flusso dell’acqua

memori di viaggi, d’altre sponde

avidi, riconoscere che il passato

ha in sé orizzonti di approdo

e il futuro reca impronte di passi.

 

Danzare nel cerchio del divenire

e plasmare ogni istante, intingerlo

nell’inchiostro di passato e futuro.

Cos’è l’oggi se non altro sguardo

sulla via intrigante del mutamento?

 

Cogliere la malinconia del cielo

che s’oscura e la segreta malia

delle stelle, la verde nudità del melo

che si spoglia della bianca veste.

In questo eterno ritorno, ci resta

un orlo del tempo tra le mani.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Eterno ritorno” di Anna Santarelli

 

Infinito, il tempo verbale della Santarelli distende il continuum indeclinabile di vita eterna, in luce di contrasto con la dimensione confinata e marginale dell’umano sguardo, il cui orizzonte esaurisce nel passo stesso dell’istante. Eppure, questo orlo, letteralmente questa estremità di tempo, è sempre nuovo oriente di una ciclica rinascita, di un’esperienza d’eternità coincidente con l’attimo stesso, attimo che porta dietro di sé tutte le cose a venire.

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