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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Antonio Albanese
Rotolando
Rotolando è soltanto un gerundio del verbo rotolare
Non è il mio presente, non è il tuo futuro
non ha inizio né fine.
È un bambino che tira calci a un pallone
in tutti i pomeriggi di tutte le estati di tutti i quartieri
contro una saracinesca abbassata.
Rotolando
ho imparato la vita
l'ho presa a calci
ho sentito il fragore metallico quando ho trovato chiuso...
Ho conosciuto il sole sulla pelle, il sapore del pianto e l'odore del mattino
E sono andato in guerra nella pace della sera,
quando c'era da andare in guerra.
Quando ho avuto freddo, il coraggio mi ha scaldato,
quando ho avuto fame, la paura mi ha nutrito.
Finché
giorno su giorno,
ora su ora,
rotolando su me stesso
sono arrivato a te
per portarti il mio corpo, fatto di terra e solitudine,
l'oceano di rimpianto, la luce delle lame, il rosso del mio cuore...
affinché rotolando
assieme alla pietra rovente della mia carne
trovasse rifugio la tua anima elettrica.
Non sei riuscita a fermarmi.
Non hai voluto
fermarmi.
Per questo, amo te sola
che stai nella mia vita come un continuo divenire
coi tuoi occhi di perle impazzite
che corrono senza sosta.
Saracinesche aperte verso l'infinito.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Rotolando” di Antonio Albanese
Il verso narrante dell’Albanese figura il modus gerundi, l’indeclinabile “modo di fare” dell’umano: il moto di una ruota ruotante da sola, il solitario giuoco nietzscheano della volontà del fanciullo di creare, nel sacro assenso alla vita. E se umana è la condizione segnica di limitazione e di finitudine, compresa nel paradosso di un moto di desiderio inarrestabile e tuttavia negato all’oggetto, è vero che l’amore riapre all’infinito i confini, perché è nuovo motore che declina l’indeclinabile alla motivazione e al senso, nel divenire dell’essere.
Portami con Te, vento!
Vento, spazzami via!
Svelami i meandri
dove trova rifugio
la tua anima inquieta.
Sorvoliamo gli oceani, godendo
delle crespe onde che irridono
alla piatta calma dei saggi.
Portami con Te, vento!
Nel labirinto dolce
che disegni nel cielo,
disperderò l’uragano rauco
della mia coscienza.
Fa di me una foglia
strappata all’inerzia.
Rapiscimi, vento!
Saremo il vortice e l’oblio…
Io rinnego (mi credi?)
l’ottusa umana resilienza,
la tragica voluttà del sole
e più non temo
il ramo spezzato del tempo.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Portami con Te, vento!” di Antonio Albanese
Vocativa e iniziatica, la parola dell’Albanese si alimenta del soffio aereo, che disperde e vanisce la voce e le certezze della coscienza, per ritrovare l’origine al suono selvaggio del vento, all’emersione degli impulsi, alla perdita del principio individuationis per la partecipazione alla natura. In un vissuto erotico, anonimo e plurale il poeta rinuncia a ‘resilÄ«re’, letteralmente sceglie di non resistere alla rottura della norma identitaria e sociale e della inerziale continuità pregiudiziale della medesimezza, per riconoscere, per riconoscersi.