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Antonio Sbarra

Cortina d'autunno

Quel soffio del triste garbino,

dell’ultima estate retaggio,

il piano ritorce, sabbioso:

memorie di cose passate

svaniscono in breve pensiero.

La fola del capo canuto

al cuore spossato ritorna,

coi brividi d’una procella

cui attiene la sola speranza.

L’Autunno!

 

Un mugghio di vano gioire

confuso diviene, gravoso:

e quel titubante ricordo

avaro, al cuore s’apprende!

Un volto, quel volto, ialino

la nebbia del tempo già rende

e il bacio, soffuso di gioia,

rimbomba nel petto già cavo.

La tua dannazione? I ricordi!

L’Autunno!

 

Bruiscono bimbi e cetonie:

lo sguardo li segue, indolente,

li guarda, ma senza vedere,

la vista si torce al suo interno.

E scruta la torma, che incombe,

dei dolci passati, di ieri:

l’Estate, giuliva d’Amore,

sfiorì nell’odierna canizie

di caste pulsioni foriera!

L’Autunno!

Critica in semiotica estetica della Poesia “Cortina d’autunno” di Antonio Sbarra

 

Il verso sapienziale dello Sbarra canta la stagione autunnale della vita, l’autunno è letteralmente il tempo “arricchito”, ma l’incremento cui il poeta allude rimanda ai ricordi del passato, che chiudono entro le braccia della loro prigionia. Così le immagini della realtà esterna non sono ormai che riflessi antropomorfi dei vissuti interiori e il ricordo anche si dimostra “avaro”, denunciando la sostanziale condizione d’impotenza: la sua natura segnica e seconda alla verità dell’evento, sollevando tutta la nostalgia per ciò che è stato e mai potrà tornare ad essere per nessuno e, più ancora, per chi è sposo di sola speranza, sorella del sonno.

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