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Beatrice Fiaschi

Infanzia

Il grande silenzio

nella casa d’infanzia

è un silenzio che danza

che per mano mi porta

in ogni sua stanza

per ritrovarne l’odore

di quando liete erano le ore

di quando io e me stessa

giocavamo da sole.

Nella mia anima duole

tutto il mondo perduto

ora che il mio seno è cresciuto

e così anche il vuoto

da me stessa creato.

 

Ho potuto tremare
quando la brezza
si è fatta tempesta.
Ho potuto cantare
quando la solitudine
si è fatta bellezza.

Mi sono potuta elevare
su scorci mozzafiato
sfiorare le tue labbra su un prato

di neve bianco

gelato.

 

La primavera è sbocciata

nel tuo cemento

e mi hai guardata

uccidere il sole

per tenermi il vento

distruggendo veloce il Firmamento.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Infanzia” di Beatrice Fiaschi

 

Dondolante, rimata e nostalgica, la parola della Fiaschi si fa danzante al vento del divenire dell’essere, toccando con viva sinestesia i luoghi fermi e consolatori: i luoghi che, tanto appartenuti, transizionali, si confondono all’abbracciante essenza stessa dell’infanzia. L’essente luogo sicuro e germogliante del riguardo dello sguardo materno è tradito, raggelato dalla solidità sterile del principio di realtà della crescita, che incatena al divenire lineare della perdita e distrugge il firmamento, letteralmente il riferimento individuativo di fermezza siderale agli occhi dell’essere.

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