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Carlo Giacobbi

Da questa lontananza

È da questa solitudine che ti scrivo,

da questo silenzio che misura la nostra uguaglianza

come il nostro essere lontani.

Christian Bobin, Sovranità del vuoto.

 

Va bene anche così, non devi dire nulla; è privilegio

contemplarti da questa lontananza.

Restare sulla soglia dove si celebrano le nozze

 

del qui e dell’altrove, sulle logge prospicenti

l’avverabile fecondato dal seme del pensiero, è segno

che la rosa non è solo il suo sbocciare, che cova il già

 

nel suo preludio, e che se è vero che si accade, non

meno vero è che si è sempre lì-lì, in procinto

d’accadere.

 

Non è necessario staccare il frutto offerto dal ramo

perché lo si possa dire colto; le cose, tutte le cose 

mi appartengono quanto più non le possiedo

 

quanto più fervo per esse, ma discosto

in segreto. Custodire l’anelito è tutt’altro

che abortirne l’oggetto; qui si fagocita tutto, si fa

 

vigilia di niente: loro non sanno l’ardere di fiamma

di ciò che alle dita si tenga. Meglio starsene sulle

punte, il naso all’insù, appesa settima di dominante.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Da questa lontananza” di Carlo Giacobbi

 

Profondamente filosofica, la parola del Giacobbi celebra la condizione umana in qualità di mancanza e di rimando, che trasla la verità in figura declinante, senza perderne l’essenza, per l’aver luogo alla casa di un altrove. La differenza è nell’alterità, tanto più irriducibile quanto più intensa, da anelare nell’essere, non nell’avere: nell’armonia musicale che abbraccia tonica e dominante, perché l’uomo è il senso che lega il movimento fra tensione e risoluzione.

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