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Mistero dell'Albero Immortale

Corrado Avallone

Lampedusa, se un giorno

(disfatta delle coscienze)

 

Quando

nelle notti avare di luna

il fragore del vento scuoterà la tua porta

e aspro sembrerà il rumore della pioggia

ascolta,

è l’invocazione disperata di mille anime.

 

Quando

un mare sgomento e lacerato dall’indignazione

con collera scaglierà le sue acque

sulla scogliera dell’egoismo e dei privilegi

ascolta,

è un grido di vendetta per mille innocenti vite negate.

 

Quando vedrai i cieli bruciare,

tracciando le stelle di rosso vermiglio

un vento remoto, porterà echi di agonia,

e il ripugnante odore della paura,

allora sarà scaduto il tuo tempo.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Lampedusa, se un giorno” di Corrado Avallone

 

Di denuncia e monito la fenomenologia dei versi profondi di Avallone alla roccaforte delle certezze calcaree identitarie del cosciente: trema il cogito cartesiano autofondante. L’occidente ha lungamente rimosso l’alterità, la differenza, nell’emarginazione, per la schizoparanoide difesa della casa autogarante dell’io scisso, di pensiero nevrotico. Ora le “vite negate” di Lampedusa riaprono “la porta” chiusa dell’identità alle “acque” dell’inconscio, dell’altro, a smascherare un io fatto del solo “ripugnante odore della paura”, paura del freudiano “non esser più padrone in casa propria”, che segna il tempo che la coscienza si riapra all’inconscio, al diverso, per rinascere mutualmente al divenire dell’incontro.

Dietro le quinte della notte

In un silenzio liquido e opaco

specchio di infide paludi,

nascono e si inseguono ricordi

densi di ombre.

 

Cieli gravidi di nuvole

profonde e nere come pece

anticipano bagliori di lontani temporali.

 

Filari di viti rubano spazi di vento.

 

Una teoria di memorie vaghe, incerte

svelano antiche ed inedite fisionomie,

sollecitando un viso perplesso

a rovistare tra insidiosi dubbi ed infantili paure.

 

Dietro le quinte della notte,

tracciate da insolite geometrie,

si scoprono, pettegole e insidiose

inquiete ambiguità.

 

Sogni, memorie, desideri e immaginari

solidali e alleati

si oppongono all’imminente

e ingannevole realtà del nuovo giorno.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Dietro le quinte della notte” di Corrado Avallone

 

Oltre la rappresentazione della parola, nel buio e nel silenzio, tenta lo sguardo l’opera dell’Avallone, che è sempre ancora specchio d’immagini interiori, a cercare il luogo in cui nasce il suono della vita naturale, nella memoria archetipica e prima del logos, nel luogo del senso. Il poeta denuncia il momento necessario della verità, quando la geometria nominale di sé e mondo si rinnova, attraverso l’arte, e crolla la bugia calcarea della coscienza, che si ostini all’uso di vecchi abiti della significazione. La poesia è monito ed invito alla domanda dell’identità, valore che riapre ogni forma, mai ultima, del rispondere.

Prima neve in Brianza

Nevica,

allegre tortore intirizzite

cercano precari rifugi

tra tetti imbiancati

e fragili foglie ubriache di freddo.

 

Una frotta di anatroccoli

indifferenti alle gelide acque del lago

eleganti e docili, come ubbidienti scolaretti

navigano verso riva

per un sicuro riposo tra spogli canneti.

 

Una luna intrigante

violando le regole ed i colori della notte

svela una teoria di case e sentieri adagiati in collina.

Su rami penduli, lucenti aghi di cristallo

sembrano danzare come festosi burattini.

 

Dagli antichi camini, volute di intenso fumo

liberano il pungente e aspro odore di legna bruciata

che, furtivo

si spande in un silenzio irreale,

alimentando remoti e infantili stupori.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Prima neve in Brianza” di Corrado Avallone

 

Il verso narrante dell’Avallone, se appare delle chete altezze della coscienza, nasconde tuttavia il profondo e prezioso movimento simbolico dell’atto del conoscere. Il gelo e la solitudine del pensiero necessitano il vincolo e il completamento nel contenimento e nell’ardenza del sentire, che l’elegante rappresentazione riconduce al cordiale furto della verità del poeta, che risiede allo stupore, nel sonno, nella sinestesia dei sensi, nel passato.

Malinconica deriva

Sempre intenso sarà

il ricordo di te, seduta

sulla solita vecchia poltrona verde mare

i capelli arruffati, lo sguardo smarrito

in sentieri privati ed inespugnabili.

 

Sembra assopito il tuo spirito vitale

né appare chiaro dove corre il tuo pensiero

sempre fiero

rigoroso

talvolta altero e irridente.

 

Disillusa, 

dibattuta tra i ricordi di antiche primavere

e lo squallore del quotidiano,

racconti i tuoi giorni sempre uguali, monotoni

tra inerzia e insofferenza.

 

Nulla hai potuto

contro questa fatale e malcelata deriva

che, inesorabile e crudele,

ogni giorno ti consuma

tracciando il tuo nobile ed amaro destino.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Malinconica deriva” di Corrado Avallone

 

La parola orizzontale dell’Avallone scorre l’inerziale lancio temporale dell’umano, teso all’inconscio e nato dall’inconscio, dalle acque della madre alle acque della terra. Eppure la disillusione dell’identità, alla deriva verso il naufragio, non spegne la fierezza di una nobiltà, che ha il valore di una notabilità: di una conoscenza accesa, legata alle tracce indelebili di una vita che, nella memoria dell’alterità, la morte irride.

Lo stupore dei vecchi

È raro scoprire stupore

dipinto sul volto dei vecchi.

Lo sguardo è sempre oltre

sembra quasi assente, distaccato.

 

Metodica e quotidiana è la ricerca

di una voluttuosa solitudine

coltivando forse la segreta speranza

di fissare emozioni di stagioni ormai remote.

 

Le mani, tremule, nodose

rivestite di memorie e delusioni

sono spesso rivolte al cielo

per denunciare quotidiane avversità.

 

I visi assorti, spesso tracciati

da una geometria di pesanti rughe

confermano la volontà di frenare

l’inarrestabile premura del tempo.

 

Quanta sofferenza raccontano questi volti

testimoni ignari di una grande illusione

di un’incredibile avventura mai iniziata

forse, solo un tragico oltraggioso inganno.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Lo stupore dei vecchi” di Corrado Avallone

 

Il verso riflessivo dell’Avallone interroga i segni di attestazione dell’umano, fra dimensione fenomenica d’apparenza e dimensione noumenica di verità. La parola ‘stupore’ ha la stessa radice del verbo ‘stare’ ed è disposizione di colui che si trovi fermo di fronte l’indeclinabile luogo di verità; l’illusione è gioco, che trasla la verità in figura. La senescenza è abito di vita, di verità in errore, così più non dona stupore, se non all’estremo commiato.

Forse tornerò

Forse tornerò, lusingato dai ricordi

e dal desiderio di ascoltare l’eco di quelle voci

che, antiche e sapienti, giorno dopo giorno

costruivano la casa della nostra maturità

e dei nostri destini.

 

Forse tornerò

per cantare l’allegria delle ginestre

l’intenso azzurro dei cieli marini

e l’inconfondibile aspro sapore di salsedine

liberato dalle raffiche di tramontana.

 

Forse tornerò

per rintracciare quei preziosi frammenti

di solitudine, illusioni e certezze

allora presidio e garanzia di gioventù 

quell'unica e straordinaria stagione della vita.

 

Forse tornerò

soffocando la paura di perdere il sogno

ed il timore di specchiarmi, attonito e incerto,

in volti diversi, affaticati e dalle innocenze perdute.

Forse.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Forse tornerò” di Corrado Avallone

 

Fra memoria e assenza di certezza, ritorna la parola dell’Avallone, che si affida alla libertà dei sensi sognanti e alla sfida dell’incoscienza, perché “forse” vale ‘sia la sorte’, che letteralmente ‘lega insieme’. È il viaggio di ritorno alla provenienza, nel tempo circolare e di senso della poesia alla deriva dell’immaginazione, che porta alla viva presenza della carne i sensi pieni, confusi, illusi e sbigottiti d’innocenza della stagione della giovinezza, sebbene sempre la coscienza della realtà e del tempo rinnovi e difficile sia trovare il filo di continuità che riconosce la permanenza del divenire.

La mia stagione naviga il tramonto

Quando, privi di calendario,

ti appaiono frammenti di lontana memoria

i tuoi giorni,

inesorabili, cavalcano il tramonto.

 

Sorpreso, ti lasci andare a improbabili sogni,

chiedi qualche certezza

ad una società che indifferente, disinvolta e veloce

non offre rifugi né conforto.

 

Come riflessi in uno specchio

e sopravvissuti

al saccheggio del tempo

affiorano lusinghe e inganni di una vita.

 

Cosciente, attendi quel tiepido soffio

che indulgente, premuroso

come alle ultime stanche foglie,

annuncia la prossima resa.

 

Un soffice grembo di terra

paziente, attende le esangui spoglie

per donarle puntualmente

al respiro dell’ultimo vento.

Critica in semiotica estetica della Poesia “La mia stagione naviga il tramonto” di Corrado Avallone

 

Naturale, la parola dell’Avallone chiede al verbo intransitivo il passaggio dell’azione, ad abitare la sostanza della continuità fra soggetto umano e oggetto di mondo. La finitudine e la negazione segnica dell’uomo così apre il poeta al continuo sussistere accadente dell’eternità del vivere in natura. In una catabasi, in una discesa inconscia al grembo della terra, nel ricordo immemoriale e sensoriale irriflesso del luogo d’origine, il passaggio trasfigurante è il movimento dell’oltre dell’identità, che dona l’anabasi della consustanziazione all’ultimo vento nell’abbraccio animistico al mondo.

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