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Daniele Giovanni Baccaro

Un epitaffio

In un calice mi specchio, uccidendomi
col riflesso di un io raggelato,
immobile posso solo immergermi
nel risorgere di una stagione.
Penso, sul campo morente, alle fortezze
ove la luce ancora scaldava i volti
ed un cuscino su cui posare un corpo stanco
era più grande festa, e consacrata
dalla fede, il fiore esaudito e perenne.

 

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Critica in semiotica estetica della Poesia “Un epitaffio” di Daniele Giovanni Baccaro

 

La parola ermetica e profondamente ironica del Baccaro dibatte l’ultimo postremo istante del vivere fra le dimensioni di finitudine e d’infinito. La dualità della riflessione, condizione estranea di verità in errore, giunge tuttavia al luogo irriflesso e precategoriale, al raccoglimento unitario del senso che supera il sacrificio del tempo lineare, per il tempo circolare di perpetuazione naturale.

Note di notti che forse infinite

Note di notti che forse infinite
al cielo donavano i ruggiti dell'anima,
e le stelle chiamavano a testimoniare
dell'inestinguibile alchimia;
nel nascondimento di brividi giungevano,
per le frasche che il vento frustava.
Tutto nei decenni, l'unico pensiero
di cui osavo invaghirmi, una morte nuova.
Così gli astri rapivano la mia essenza,
e appeso il mio essere, ai baci della luna.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Note di notti che forse infinite” di Daniele Giovanni Baccaro

 

Sospesa e anelante, la parola del Baccaro rifonde nel grembo della notte l’uomo alla natura, ascolta l’anima del mondo e la sintesi degli opposti, a fiorire al lucore obrizo delle stelle l’unità sapienziale, che solleva l’orizzonte umano all’oggetto divino. È una spiritualizzazione della materia, per il tramonto e la palingenesi della coscienza.

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