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Davide Mario Lo Presti

Vorrei avere gli occhi di un bambino

Vorrei avere gli occhi di un bambino

per vedere le cose per la prima volta:

 

Guardare il sole e la luna rincorrersi nel cielo,

sfidandosi al gioco del giorno e della notte.

Tremare al buio che la luce inghiotte,

difendendomi con una fantasia sotto un velo.

 

Vedere un palcoscenico avvolto da una nera voragine

e meravigliarsi all’accendersi delle luci in scena,

dove il visibile si scorge appena,

e l’invisibile prende forma a mia immagine.

 

Osservare il passaggio di un treno in corsa,

veloce, come dall’arco corre la saetta,

e domandarsi dove vada così di fretta,

immaginando la strada percorsa.

 

Piangere dopo l’ultima sconfitta,

ed esultare alla prima vittoria.

Stare sulla vetta del mondo in gloria

con i piedi piantati sulla terra fitta.

 

Vivere ogni giorno della propria vita

e innamorarsene al primo sguardo.

Credere il mondo un quadro beffardo

e il disegno, una sconfitta non avvertita.

 

E perché no? Lasciarsi ingannare dalle prime impressioni:

Crescere lentamente, cadere e rialzarsi,

passo dopo passo, fidandosi

di un mondo che mai mi abbandoni.

 

Vorrei avere gli occhi di un bambino.

I miei scattano solo vecchie fotografie.

Abbandonarsi alle scoperte e alle meraviglie,

per scorgere una nuova luce al mattino.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Vorrei avere gli occhi di un bambino” di Davide Mario Lo Presti

 

La parola in rime del Lo Presti canta e incanta della meraviglia, quale primo valore dell’amore per la vita, che lascia scorgere il mai nel sempre, come fosse ogni istante la prima volta. È oltre l’abitudine a vedere, nello spazio franco della rêverie immaginante fra inconscio e coscienza, a rifigurare di sé e delle cose, dal riconoscimento alla riconoscenza.

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