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Donatella Nardin

L’occhio verde dei prati

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L’occhio verde dei prati, risvegliato,
fa nido bevendo la nuda
chiarità del mattino
come le vite care appese alle finestre
del loro infinito mancare,
come il biondosole, amore riverso
tra le scapole azzurre rotte
da assenze, commiati, afasie.
Ringraziare ogni risveglio che sia
sassopietra o nuvolafiore,
nell’attimo essere immensamente
grati - ai prati, al mondo, fosse
pure ai respiri affannati -
prima che il verde esca dagli occhi
come le vite care divenute
allo sguardo pura nostalgia.

Critica in semiotica estetica della Poesia “L’occhio verde dei prati” di Donatella Nardin

 

Celebrante la rêverie di rinascita, la parola della Nardin incede fra la gratitudine rivolta all’istante di meraviglia e la nostalgia del perduto. Il risveglio è l’attimo dell’immaginazione creatrice fra il sonno e la veglia, fra l’inconscio e la coscienza, che rinasce alla continuità dell’uomo al mondo. Lo sguardo del mondo è il luogo originario, il grembo segreto universale che rifonde gli opposti al sentimento franco di un mundus imaginalis, in chiasmo fra senziente e sentito.

Barene

Un sorriso si erge dallo stelo sottile.
Al sentimento rivelati, annunciano
il primo respiro del giorno i fiori
ambrati delle mie barene.
Colta e posata nella poesia, crepita
altissima in un incendio di gialli
aranciati la creazione.
Sarà per poco, dolcemente almeno.
Sarà la loro e la nostra labilità
a spegnere l’occhio luminoso
della rosa.
Là dove si perdono, qualcosa di sé
lasciano le fragili stelle dell’esistere
grato, mai pienamente attingibile
una promessa almeno o forse 
una malcelata nostalgia.
Sì, appena dopo la gioia noi siamo 
già nostalgia.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Barene” di Donatella Nardin

 

La parola ignea della Nardin accende un vissuto di rêverie cosmica, fra il sonno e la veglia, per una fenomenologia dell’immaginazione creatrice. Ma la sostanza del soggetto nella gioia stessa è già una mancanza, una dimensione eccentrica che ha luogo in un altrove, è l’eco di nostalgia del perduto. L’identità è un segno in transito dalla vita diretta e precategoriale, alla dimensione riflessa della parola e della coscienza, desiderio inespresso dell’origine.

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