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Elisabetta Biondi della Sdriscia

Gabbie

Costretta nell’involucro, non riesco

a distendere nel volo gli arti scarni:

mi dibatto senza scorgere varchi

in questo rimanente senza sbocchi.

 

E non mi riconosco e non so dire

dove io sia diretta, se esista una sorgente

o se il viaggio è a ritroso, verso il niente,

in questo pigro esistere che anticipa la notte.

 

La fluidità dell’acqua ci è negata.

 

Lei si dispone docile

in ciò che la contiene,

ne occupa ogni spazio, si dilata

senza mutare né essere mutata.

 

A noi è concessa la forma della gabbia,

lo sguardo confinato tra due sbarre

e una porzione esigua d’infinito.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Gabbie” di Elisabetta Biondi della Sdriscia

 

In rima, ad eco di uno spazio di finitudine, la parola della Biondi della Sdriscia vive lo stato larvale di transito irrisolto dell’uomo, entro una temporalità di singoli istanti. L’identificazione costringe nella cornice di prigionia del nome, del ruolo obbligato, che assegna una coscienza esterna, un’aspettativa esteriore. È un dovere adattivo e alienante dalla fluidità libera dell’essere, che ingabbia in una forma solida e fratta d’esistenza.

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