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Elisabetta Liberatore

Libri

In pareti di silenzio
universi fruscianti incensati

con fervore di amante,
nel tuo eremo ove
disgiungi la quota
del tuo debito
alla foga di attimi.
Respiri l'afrore antico
su ogni foglio,
nel fluire silente
di parole che vibrano
ampi respiri dal vago
sapore di eterno,
ed eterno è il tripudio
regalato alla tua
anima avida,
lettrice mai sazia,
e se l'inganno
di frutti acerbi
occhieggia pavido
e vacuo su
confini di cenere,
dove memorie
disperdono scintille mute,
più forte è il tuo abbraccio,
testardi e romiti i tuoi pensieri,
inviolabile l'anima
dall'ampia apertura d'ali.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Libri” di Elisabetta Liberatore

 

Il verso, sfogliante profondità, della Liberatore trafuga e apre dalla quantificazione della temporalità moderna la dimensione qualitativa, rituale reverenza al divino, dell’uomo che radica il discorso nella vita, che supera la referenza letterale e libera la potenza della referenza seconda: che rivela il legame ontologico di ogni cosa. Allora il supporto silente del libro e dell’anima umana si fondono nell’evento fervente dell’amore, che trasferisce, da soglia a soglia, il senso.

Invocando una Musa

Ti invoco
in questo gomito di tempo
dove incuneo le mie calme abitudini,
mentre un sole liquido
scandisce ore limpide
ai piedi di un'estate
dileguata nella polvere.
Avvolgi di te ogni feritoia dei sensi,
con la tua pazienza ancestrale
illumina la mia fiamma ostinata
china nella fatica del transito
adagiata su malinconiche soste
mentre trattengo il giorno
dentro ritmi feriali
scanditi da promesse bugiarde.
E' docile la mia resa mentre
raccolgo i tuoi silenzi
nella fulva offerta d'autunno
eppure non distinguo
in tuo canto velato tra arcani presagi.
Le tue immagini diafane

sono enigmi che non apprendo
se non per segni frugati
nel fondo fitto di sguardi effimeri,
nell'agonia della terra da arare,
nel metallo ramato delle chiome
e nel fumido crepuscolo
di un settembre molle e clemente.
Ti attendo

mentre un cielo inquieto già s'offusca.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Invocando una Musa” di Elisabetta Liberatore

 

Il supplice anelito del verso della Liberatore spegne la certezza estiva della coscienza e il tempo comprende nello spazio difeso di un abbraccio all’essenziale: la poetessa cerca il sacrificio del verbale orpello sulle pire dell’autunno, per il dono consustanziale del silenzio. È caduco all’uomo il movimento del divenire formale, che ripete il transito trafugante l’occasione dell’origine e l’alchimia di spiritualizzazione della materia volge dalla nigredo della terra alla rubedo dell’ignea volontà, che attende l’oro notturno della conoscenza.

Neve

Gelido il dumoso crinale
di orizzonti silenti
equoreo
come i tuoi pensieri invetriati.
Intorno è il dilucolo immobile
di un malpiglio di pallido fiato.
Sui monti,
ove s'assiepa fitta la bruma,
lo sguardo mareggia
su un cielo lapideo,
un silenzio arcano
spietato come una lama lucente
affila le trame imbiancate,
dentro la luce cinerea
una bellezza lucida
di chimera inerte,
ma quando i raggi
timidi di un sole schivo
fulgono come grani d'oro
sui tetti solinghi,
l'ignita valle
è un' eburnea distesa
e un'aria pulita
accende le gote
di pallida brace.
È la pausa liliale
di un grembo etereo,
il pensiero algido
di un tempo sospeso.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Neve” di Elisabetta Liberatore

 

Sonora e al contempo adamantina, la parola della Liberatore sospende il tempo nell’istante che abbraccia l’algore, solido e inerte, della prigione cosciente e l’ignea vampa, che discioglie il movimento, che libera l’emozione vitale di un’ardenza inconscia. La parola, con gentile fervore poetico, seduce l’oggettualità del mondo, a lusingarne il candore inesplorato, a meravigliare la sua illibatezza, per induzione al desiderio di sintesi al luogo umano del soggetto amante.

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