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Elvira Delmonaco Roll

La panchina

Nascosta tra pruni e lantane
la panchina s’appoggia al tronco d'un pino
vestendo lo stesso colore
del legno usurato dal tempo
Sulle assi dimenticato un tuo libro 
sciupato da pioggia e da vento 
offre ancora tra pagine sparse 
parole che non hanno più senso
Un metro più in là il laghetto 
di pesci e papiri ricolmo
distorce con garbo le ombre riflesse
intorno
all’anfora antica
e un dardo di sole smarrito
tra le foglie del cedro che amavi
rifrange sull'acqua che increspa
al balzo giocoso d’un pesce
Mi acceca un istante il bagliore
e come un’eco lontana
mi par di sentir la tua voce
che ancor mi accarezza la mente
-cieco è l’uomo nella luce più pura
destinato a vedere nell’ombra 
coglie solo il riflesso del vero- 
Sedevo al tuo fianco quel giorno
sulla panchina dipinta di verde
ti leggevo parole da un libro
e il pino spandeva profumo di resina
e intorno i tuoi fiori e gli uccelli 
e la bellezza e la vita
Ora il libro è sfogliato dal vento
e la panchina s'appoggia sbilenca
al tronco seccato del pino

 

​

Critica in semiotica estetica della Poesia “La panchina” di Elvira Delmonaco Roll

 

Di nostalgia e di rimpianto, la parola dondolante e melodica della Delmonaco Roll canta la dimensione mancante, seconda e riflessa dell’uomo, tristemente destinato all’eco della verità di vita, allo specchio del dardo di sole. La poetessa vive ancora la sinestesia che solleva i sensi, nel profumo di resina del pino, a serbare l’immortale sacertà del sentire, a reificare in presenza il perduto.

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