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Emanuele Rocco

Le nostre prigioni

La mancanza

non si paga,

scolpisce

il vuoto

della tua assenza.

 

Come sabbia

l’anima

filtra

l’attesa,

la voce

tace

come il mare.

 

La ragione

ha distrutto

l’amore.

 

Noi

siamo sempre

dove eravamo.

 

A volte

vorrei tornare.

A volte

vorrei morire.

 

Il tempo

scorre

senza di noi.

 

Una lenta vertigine

come fissare

le nostre vuote

prigioni

alla fine

dei giorni.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Le nostre prigioni” di Emanuele Rocco

 

La parola frammentata del Rocco risuona del dolore segmentato della finitudine alienante, che getta l’uomo nella delusione declinante di un altrove di essenza e di libertà impossibili, sempre passate o sempre future. L’identità è alla vacua prigionia del segno, che la solitaria successione d’istanti presenti rinnova, sinestesia di una cieca vertigine, che priva della visione di continuità e di senso e lascia ad una costitutiva attesa e al silenzio dell’ineffabile, alla disseccata, denaturante, negata coscienza della rorida verità dell’amore.

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