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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Emilia Fragomeni
Lacci
Mi son rimasti addosso certi
lacci, attorcigliati ai suoni
d’una vita e all’inesausto
tempo dell’attesa, quando
i riflessi d’una luce incerta,
che proiettava sempre un cono
d’ombra, turbava la trama
dei miei sogni, cresciuti
tra i papaveri e i suoi occhi.
Li vedo ancora. I papaveri.
Gli occhi. Legati stretti
ai polsi delle stelle, mentre
respiro l’ombra d’un sorriso.
Li sento fremere da qui,
seduta dentro un giorno
che sa di sorbe e miele,
in questo frammento
di tramonto, che si sbriciola
tra le parole e il vento.
Li tengo dentro, tra le maglie
fitte d’una poesia e d’una canzone,
tra le mani strette a pugno
sopra il petto, tra lo scorrere
del cuore che ha il colore
del pianto, tra la sabbia che
rotola dietro persiane spente
e la salsedine che scompiglia
i miei ricordi.
Io mi aggrappo al lampo
d’un istante, che sopravvive
al tempo.
E vivo la trasparenza.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Lacci” di Emilia Fragomeni
Meraviglia e trasporta il verso creante della Fragomeni, è denso di profonde sinestesie sensoriali che reificano in presenza i sogni immaginifici, a riempire gli spazi fra le cose di emozione viva, oltre il dolore. Il verso della poetessa rende pur tangibile il tempo e apre il chiasmo inscindibile fra chi attende e ciò che è atteso, in un luogo naturale tutto umano; allora batte il cuore della luce e anche l’ombra sorride nella vita del continuum instante e fremente dell’essere e che il verso ferma in un prezioso frammento donato di senso fuggevole, fra voce e silenzio. Così la morte è vinta dall’autrice, alla finestra delle trasparenze della parola poetica, che aggetta, dai sensi alla verità.
Dimmi...
Dimmi dove custodisci le ombre
e i misteri e lì depositerò i miei.
Dimmi dove nascondi la polvere
e i silenzi e lì imprigionerò le mie
ragnatele.
Dimmelo nell’orecchio e lì andrò,
quando nascerà l’alba o quando
il sole si perderà dietro le montagne,
senza lanterne, senza bussole,
né mappe.
Seguirò il vecchio sentiero,
rimasto impresso dentro la mia
mente, tornato tante volte nei
miei sogni, e arriverò là dove
custodisci i tuoi dolori e i miei
ricordi, le tue paure e i miei
turbamenti.
Dimmi, però, se è giusto ancora
cercarti e accorrere là dove
sotterri ferite e delusioni e dove
versi solitudine e mancanze,
sul limitare estremo di attoniti
risvegli, sapendo la speranza e
l’abbandono.
Dimmelo! E io arriverò da sola,
senza bagagli, le mani colme solo
d’emozioni, per questa poca fede
che sostiene i battiti del cuore e
questo impallidire nel mistero,
viandante ignara dell’eternità.
Farò della tua angoscia la mia
risacca e sarà nulla il battere
dell’ora. Io sarò ramo per le tue
ferite; tu verde foglia libera
nel vento.
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Critica in semiotica estetica della Poesia “Dimmi...” di Emilia Fragomeni
Amante e consapevole, la parola della Fragomeni racconta del doloroso ruolo materno della donna nel rapporto di coppia, che troppo sovente l’uomo assegna per proiezione edipica. È una funzione maieutica e terapeutica, di elaborazione cosciente di contenuti inconsci e irrisolti, che è un valore offerto di ascolto, di accoglienza, di dedizione e di cura, senza mutuale riconoscimento, senza corrisposta gratitudine.