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Eva Villani

Di terra gelida sento i grani

Di terra gelida sento i grani

di schiuse zolle pregne di brina.

E mi torna il fumo dei camini

librarsi in volute biancogrigie sui tetti,

quando lievi si adagiano tortore smorte.

 

Quiete inconsapevole d’addormentarsi,

foglie silenti attutiscono le fughe dei tassi

e s’oscura il bosco di lunghe ombre,

sfiorate da squame di tramonto.

 

Così vorrei insensibile abbandonarmi,

non cercare la gioia

non pungermi nel dolore,

sprofondare nella corrente argentea,

ritorno continuo dell’ottobre di stelle

opache d’eterno splendore.

 

E nelle foglie i colori dell’autunno,

una lumaca brilla nel folto del bosco.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Di terra gelida sento i grani” di Eva Villani

 

La parola simbolica e sapienziale della Villani accompagna dal segnico luogo grigio e caliginoso dell’umano, come bigia tortora costitutivamente fedele ad un sentimento malinconico, sulla via di un richiamo inesorabile ai luoghi della provenienza, che si fanno indice di una destinazione. È in silenziosa caduta abbandonica alle ombre, alla nigredo della terra, all’estasi atarassica di un’oltre, alle profondità sintetiche inconsce e grembali, che si crea un alchemico connubio di maschile e di femminile, ad una spirale evolutiva, per dimorare nella tacita sapienza di una lumaca, dea e madre di un rinnovamento eterno.

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