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Franca Donà

Fragili cose

Di questi attimi

la fragilità caduca d’un petalo

nella retorica teoria del vento

ove l’impatto al mondo

è urgenza d’un abbraccio lenitivo

una curva morbida,

l’ala stanca d’una madre

in cui affondare il viso

nel suono intimo d’una carezza

come d’acqua ch’è piovuta agli occhi.

Nel gioco frastagliato delle nuvole

sfugge il tempo solitario

e a noi non restano che briciole di sole

con cui illudersi d’un eterno vivere.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Fragili cose” di Franca Donà

 

La parola delicata della Donà è carezza discensionale, a lenire, a chetare il dolore della fratta presenza dell’uomo, sempre seconda e metafisica: è la vacua, transitoria e illusoria umana condizione segnica, che divide dalla pienezza originaria della vita in comunione al grembo materno, fin dal trauma della nascita, che lacera la continuità d’io e d’altro al mondo. Anche il grembo del sole è negazione e al contempo alimento, così come la coscienza è assenza e insieme rimando alla presenza. È nel movimento delle mancanze, alla ricongiunzione, che la poetessa trova la commozione: il muover comune alla memoria inconscia dell’unità indistinta, che si era, che non si è più.

E sembra ieri

Questo mattino preso in mano

come un fiore eretto nel suo stelo

bianco di brine e odori vecchi

in quei comignoli svuotati verso il cielo

le strade che parlano di fretta e d’altro ancora

e la mia voglia o la paura di guardare…

a volte sai è un attimo, sembra ieri

eppure quanto tempo tra le dita,

quante rughe a empire gli occhi

a spezzare il cuore ora che la neve incalza

e si torna un po’ bambini, dentro.

Non mentono mai le grida ai corsi d’acqua

o i discorsi alati delle anatre sul lago,

il rosso del primo sangue al mese

l’ultima lacrima a mio padre già disteso.

Non mente questo giorno nuovo

accolto come un figlio nella pancia

l’idea dell’ansia e la trepidazione

la scelta dei colori e del rispetto

perché è quello che ho imparato

e sembra ieri.

Critica in semiotica estetica della Poesia “E sembra ieri” di Franca Donà

 

Scivola il verso limpido della Donà ad accarezzare languidamente il tempo in sinestesia.

La poetessa dialoga con la propria coscienza, temuta, ma voluta, scelta e avvalorata dalla custodia di poche profonde e preziose verità, distillate dallo scorrere temporale, come il grido della catarsi, la rappresentazione del sogno,

la natura, il dolore, il senso, la finitudine, l’emozione e il riconoscimento dell’altro.

E gli occhi erano fiori

E chiusi gli occhi e gli occhi erano fiori

lussureggianti piante e uccelli d’ogni fronda

 

il vento nelle stanze allegramente

entrò come un amante alle sottane

 

e si cantò l’amore e il tricolore

un fiato di silenzio e poi ancora

le voci crepitarono ai balconi

suonarono i violini e c’incontrammo

guardandoci lontano dentro gli occhi

e gli occhi erano fiori, fiori nuovi.

 

(L’amore dai balconi - primavera 2020)

Critica in semiotica estetica della Poesia “E gli occhi erano fiori” di Franca Donà

 

Dondolante è la parola della Donà, apotropaico incantamento che culla e vanifica il timore della morte, perché decorra, come trascorre via l’incoscienza dell’inverno, per la nuova luce sapienziale della primavera. L’uomo ha sublimato l’amore alle metafore della natura e il piacere diretto ha sfumato nel rimando del desiderio, a sbocciare un connaturato sguardo d’appartenenza, che dona nuovo senso e valore alla vita, perché ne ha conosciuto l’assenza.

Ho visto piangere le rose

Sono io l’albero ferito

la gola rossa delle foglie  

l’odore di radici alle narici

ferma in questa pioggia

che non spiove e urla rabbia,

e urlo rabbia e grido di dolore

al vento che percuote e duole

 

costringimi di seta gli occhi

ch’io non pianga d’altri pianti

ch’io non veda il fiume delle morti

le bare dentro ai flutti sotto i ponti

sventrati gli orti, i sepolcri dalle viscere

le croci abbarbicate sopra il mogano

                                         del viaggio

- è di spine il pianto delle rose -

 

(alluvione ottobre 2020)

Critica in semiotica estetica della Poesia “Ho visto piangere le rose” di Franca Donà

 

Naturale e sinestesica, la parola della Donà partecipa della corrispondenza soggetto-oggetto come “nappe de sens brut”, strato di senso bruto, della originaria coappartenenza di uomo e di mondo, esperita entro una dimensione precategoriale e irriflessa dell’emozione e della sensazione. Sé ed altro, uomo e natura, divengono il chiasmo poetico che abbraccia la coppia nella doppia direzione di percezione individuativa, è intreccio della visione: reciproco guardare di sé nello sguardo dell’altro, a commuoversi della stessa sofferenza, fino a piangere con le lacrime spinate delle rose, nella comunione alla totalità e in una fremente coscienza che sboccia l’uomo ad immagine divina.

Questo canto d’amore

Mentre la pioggia rasenta i platani
ecco arrivare l’estasi, il fruscio cercato
con la poesia degli occhi e un ricordo
d’erba che trasuda nei colori del sole.
È facile l’amore, per questo fiore
posato come un bacio sopra i palmi
per i silenzi vibranti dei petali vermigli
e le parole lievi di foglie dentro il vento.
Vorrei restare a respirare il tempo
in questa cattedrale fatta d’anime,
il melograno che ho raccolto e i chicchi
da lanciare in aria come fosse riso.
Vorrei che questa pioggia diventasse canto
e tutti sapessero ascoltare più in là delle parole.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Questo canto d'amore” di Franca Donà

 

Languida, aerea e al contempo ignea, la parola tangibile della Donà è il trascendimento che cerca il respiro profondo, dalla creazione della poiesis allo smarrimento dell'ekstasis, a superare definizioni e confini per l’oltre unico e animato. Alla ierogamia del giorno e della notte, la rugiada sui petali di rosa è distillazione della materia prima, fecondazione del divino, nettare d’eternità: simbolo dell'amore sublimato, che vince la morte. La quintessenza alchemica della poetessa trasmuta i quattro elementi della materia al vermiglio e granato ciclo eterno di rigenerazione della vita, nel cerchio dell’armonia.

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