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Franca Maria Canfora

Tu resterai

Non ritornerà

l’estate che grondava grano

tra siepi di giunchiglie,

occhi di bosco ad artigliarmi il cuore

le mani al cielo

l’amore a un passo.

 

Non tornerà più

l’aria sospesa di settembre

coi grappoli di quieti desideri

come farfalle appesi,

che poi subito vanno,

né le trine d’abbracci,

le ghirlande di baci,

le parole lievi e sussurrate,

né quella sorgente chiamata amore.

 

Ma se più non tornerà

quel tempo, né la pienezza

d’una magia chiamata

gioventù

tu resterai

a frangere calore,

e come brezza lieve

saprai di vento e nostalgia

e piano schiumerai

come l’onda a riva

tra scie d’argento.

 

E non ti chiamerò rimpianto.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Tu resterai” di Franca Maria Canfora

 

La poesia della Canfora sorride al passaggio, dal piacere al desiderio differito, dalla dimensione muta e gestuale, diretta e precategoriale della vita, in continuità transitiva alla differenza, alla dimensione riflessa e matura della parola e della scelta cosciente, che figura, frange il corpo e lo rende segno, che rinvia nostalgico ad una provenienza e ad una fine. L’amore maturo della poetessa accoglie la schisi dell’essere, l’identità di un segno in transito, alla luce di uno sguardo, che riconosce e sceglie la figura dell’amore, luogo cerimoniale del valore e del senso della vita.

Dalle finestre d’agosto

Si vestono le finestre

nel tardo meriggio d’agosto

di sguardi accaldati e indolenti,

di mani stanche sulle fronti inquiete.

Piccoli voli, nel cielo di piombo,

graffiano l’orizzonte uguale e fisso.

 

Tra le case serrate

e i vicoli deserti

s’agitano chiaroscuri e rumori

 

- di foglie che rotolano piano -

nell’alito caldo del vento,

 

- di gatti che miagolano alla sera -

che torna.

 

Stanno così, i vecchi,

a pensare ai figli lontani

mentre lontano una campana chiama.

Strusciano i passi

la povera borsa al petto serrata,

un segno di croce, un inchino abbozzato

le mani giunte sul cuore,

gonfio d’un pianto legato alla gola.

 

E restano così - i vecchi - soli -

nell’ora del tardo meriggio,

nell’ora dei vespri in agosto,

morendo un poco ogni sera che torna.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Dalle finestre d’agosto” di Franca Maria Canfora

 

Malinconico, panico e musicale il verso metaforico della Canfora, con semplici parole, ancora gravide di sensi, dipinge uno struggente quadro agostano. Sono veli lo sguardo e la mano della senescenza, che rinviano ad un significato di dolore in un contesto di solitudine e più ancora sospinge il segno della solidità del cielo, della fissità dell’orizzonte, della segregazione della casa, del raccoglimento, dell’inerzia, della nostalgia e della voce della campana, a dire di una solitudine più grande, la solitudine altra della notte, della morte.

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