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Francesca Calzoni (Fedra)

Teogonia

Cantami oh diva, ciò che fu l’inizio di tutto;
dove ogni cosa prese forma e alito.
I cui primordi leggendari, solo Tempo e Memoria conobbero,
e trasmisero a voi, sorelle ancestrali, 
facendo risuonare il vostro canto per il Parnaso,
il Menalo, il Liceo e l’Elicona.
E così, che quattro essenze primordiali
diedero vita al Mondo.
Agli antipodi vi fu Kaos.
Il grande, glorioso e immenso Kaos.
Dall’animo impenetrabile, oscuro.
Senza tempo e spazio, ove il buio
regnava sovrano. 
Nell’immensità del vuoto più assordante.
Poi, venne Gaia dall’ampio e generoso ventre.
Purissima in ogni sua parte.
La più intima e nascosta.
Madre di tutti noi; Dei e uomini.
Consolatrice dei nostri mali; 
riparo delle nostre paure, dei nostri affanni.
Nutrimento paziente della nostra anima,
del nostro corpo.
Seguì l’abissale e castigatore Tartaro. 
Un baratro senza fondo, da cui nessuno 
può più sfuggire.
Infine, si generò ciò, che noi chiamiamo Amore.
Frutto dell’unione di Erebo e Notte,
giungendo fino a noi, in tutta la sua luce e splendore.
Lui, il più bello e luminoso di tutti.
s’insediò in tutta la sua purezza nelle anime di ognuno di noi.
Incantatore di menti. Rapitore di cuori.
Dei e uomini divengono schiavi al suo estatico e sensuale richiamo,
fatto di pulsioni inconsce e irrefrenabili.
Nessuno è immune al suo ammaliante suono, 
e tutti ne sono suoi servi e prigionieri con il suo tocco fugace.
Persino la Morte, dall’alito nefasto ne è incantata.

 

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Critica in semiotica estetica della Poesia “Teogonia” di Francesca Calzoni (Fedra)

 

La genealogia della Calzoni è manifestazione del cosmo a partire dal caos dell’indistinzione, ogni cosa ha inizio nel misterium coniunctionis, nell’amore tra i princìpi opposti. Nel talamo dell’unione è il sepolcro e la rinascita all’unus mundus, che lega il microcosmo e il macrocosmo, a superare ogni principio logico di non contraddizione.

Il canto di Eco

Tutto se ne stava quieto.
Immobile; come me.
Nell’osservare la tua dipartita, avvenuta come un soffio di vento,
che portò via con sé tutti i suoi ma.
Tutti i suoi se.
Tutti i suoi perché.
Non lasciando alcuna traccia, che potesse spiegare o condurmi a te.
Immobile.
Ma, soffocata da mille dubbi.
Da un vacillare continuo, che la mente mia portava con sé.
Soltanto, un lento ma costante battito di ciglia umide, che 
un cuore saturo di pianto non poteva più trattenere.
In quel dissonante silenzio, che la notte porgeva.
Nella muta, profondità della notte. 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il canto di Eco” di Francesca Calzoni (Fedra)

 

La parola condolente della Calzoni, in arte Fedra, si fa eco del perduto. La poetessa accoglie in sé il vissuto notturno di nigredo, per l’alba della coscienza. Ella vive la frammentazione della condizione segnica e ipotetica, come tensione di desiderio, di un soggetto a distanza da se stesso, in ripetizione analogica, in lacerante contraddizione, in una mancanza ad essere. È un presente d’assenza, ma dell’uomo non è la verità, ma l’orienza del senso: nel rinvio inafferrabile è la domanda aperta fra provenienza e destinazione, è occultamento e attesa di rivelazione.

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