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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Francesco Palermo
Viaggi
Calpestai giorni e anni
di corse controvento
cercando cieli più chiari
tra le coscienze corrose
di vecchie comari aduse
a ruminare sogni strozzati.
Fuggirono serpi
tra i sassi del mio andare
ma piansero anche fiori
schiacciati dalle mie scarpe di fango.
Nelle mie partenze senz’abbracci
vidi treni imbarcare
e scaricare volti e storie,
sorrisi e tragedie
che non smettono di lottare
fuori e dentro di me.
Domani
non avrò abbastanza giorni
né orme sotto i miei piedi.
Canterò memorie e piangerò ricordi
tra le assenze ammassate dagli anni
ma cercherò ancora
ragioni per volare
a cavallo di rondini di carta,
mai incerto se restare o partire.
Viviamo per dire addio,
una volta ancora.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Viaggi” di Francesco Palermo
La parola mordace e libera del Palermo afferra la condizione temporale dell’umano e la costituzione segnica di mancanza, in tensione transitante all’oggetto di conoscenza, mai raggiungibile. La sostanza è desiderio stesso d’illusione di una verità in errore, della finzione trascendentale del linguaggio, che è viaggio che non conosce la stasi della certezza, di una destinazione. Unica realtà umana è migrazione di parola di un essere a distanza.
L’inganno di un cielo stellato
Attendevate stelle cadenti
in quella chiara notte d’estate,
foglie di luce arrese al soffio
a nutrire terre feraci,
ma caddero pietre spente
dai soffitti di case tremanti
com’alberi scossi dal vento,
e sugli incerti castelli della riva
non ebbe coscienza
l’onda vigorosa del mare.
S’affrettò qualche omuncolo giocoliere
a costruire cattedrali di parole
tra i detriti di morte plurale,
mentre un alito sinistro zufolava
tra le case sbudellate
e un eroe senza nome vangava
zolle umide di dolore
con unghie di terra spezzate.
Ho cercato ragioni bussando
alla fede che ho potuto
tra le porte che non s’aprivano
e le voci che non s’udivano,
ho urlato parole roventi
e i miei occhi hanno pesato
di lacrime arrampicate
troppo a lungo represse
a immaginare
gli amori e i gesti e le ore dissipate.
All’ombra di un dolore antico
eppure nuovo,
asciughiamo oggi lacrime di roccia
nel ricordo di chi è stato,
e imploriamo a un poeta
poche parole sommesse
mentre la luce opaca di un tramonto
pare già apparecchiare
l’inganno di un altro cielo stellato.
Critica in semiotica estetica della Poesia “L’inganno di un cielo stellato” di Francesco Palermo
Melodico ed elegante, il verso metaforico del Palermo canta dell’illusione d’eternità dell’umano, della necessaria costruzione di dimorate certezze e dichiarate verità, esposte alla fatalità della distruzione imprevedibile, al crollo smosso da forze indomite, che riducono all’impotenza e costringono al rovesciamento del soggetto agente ad oggetto agito, che perde coscienza di un senso. Eppure, il dolore della perdita mai arresta la ricostruzione del riferimento ad una nuova transitante stellare eternità.