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Francesco Saldi

Vento di Levante

Ormai canuto, siedo rassegnato su uno scoglio,
lo sguardo rivolto al mare, oltre il molo.
Lenta una bella e maestosa nave esce dal porto,
fende le onde, ansiosa di raggiungere l’orizzonte.
Sogno di essere a bordo, non importa la destinazione.
Il movimento delle onde culla i miei pensieri,
la risacca è colonna sonora dei ricordi miei.
Soffia il vento di levante, leggero alito dal Bosforo,
da Istanbul porta il profumo di spezie colorate.
Ha attraversato l’Egeo azzurro e increspato, 
accarezzato le Korai, sull’Acropoli di Atene, 
si è profumato nei roseti in Bulgaria,
rinfrescato tra le ombrose foreste dei Balcani,
giocato tra gli alti e snelli minareti a Sarajevo.
Soffia il vento di levante e risveglia la nostalgia:
terre lontane, da tempo visitate e mai obliate.
Un vetusto peschereccio entra lento in porto,
una nuvola di frenetici gabbiani lo insegue,
nella speranza di predare un facile pesce.
Sogno di essere uno di quei gabbiani gioiosi
e poter anch’io nel vento volar sopra i marosi.
Ormai canuto, posso solo sedere sullo scoglio
e, rassegnato, guardare il mare oltre il molo
in attesa che soffi ancora il vento di levante 
e ancora ritorni ad accarezzarmi il volto.

​

Critica in semiotica estetica della Poesia “Vento di Levante” di Francesco Saldi

 

La parola nostalgica ed estesa del Saldi apre allo spazio franco dell’immaginazione, che supera i confini del luogo e del tempo. È la rêverie fra inconscio e coscienza, che solleva il vento di Levante come la sinestesia dei sensi nel ricordo, che intensamente ritorna, che riassorge, che presentifica il passato perduto.

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