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Franco Conte

MO.NI.CA.

momenti nimbati e caduchi

Misteriosa e suadente, un’ombra

un’ombra eri quasi, profumata

vicina, ma mai appartenuta.

Leggiadra vagavi tra i giorni

redolendo i minuti e l'ore.

Su tutto, tu ti posavi, ma mai

mai di te concedevi ragione,

se non quella lieve, aromatica

fragranza, ch’avevi con ingegno

scordato, qua e là, in vestigia.

Fino a quando un giorno, strana

facesti un cenno con la mano;

lì stante nulla sembrava deciso,

brivido liquido di morte lustrale,

lacrima - era tua - e annegai.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Mo.ni.ca. Momenti nimbati e caduchi” di Franco Conte

 

Pregnante la parola classica e sacrale del Conte reifica ai sensi e insieme sublima il sentimento rivolto alla donna amata. Novella Afrodite, la donna declina il piacere diretto del corpo, con il cinto, con il segno della “fragranza”, che è luogo transferale che nasconde e che insieme manifesta, per il desiderio dell’uomo, per la volontà di rinvio al significato, nella lode alla vita eterna dell’oggetto d’amore, rosa sempiterna perché mai raggiunta. L’evento desiderante vive il tempo nel rimando inarrestabile e la differenza nell’alterità irriducibile. Il mito del cinto inscena lo scambio del desiderio: il riconoscimento. Individua la donna infine la sua verità nel poeta, poiché in egli scorge rispecchiato il segno di sé e da egli rinasce, alla catarsi di una lacrima. Il soggetto, soglia di un desiderio, è un vuoto, una mancanza, un altrove: segno e specchio, entro il quale l’altro si ravvisi e si riconosca. E se l’amata apprende dell’infinità di sé, così esposta, anche la finitudine del poeta è vinta.

Estate

​

L'accecante estate breccia

nell'inverno di rosso asfalto

e invano cerca di corrompere

le lacrime con gocce di falso sudore

Solcano passi incerti, di noi

che sentiamo vividi i ricordi

un sorriso l'orgoglio il coraggio

ma come l'ultimo giaciglio

è grigio e freddo l'apparire.

L'abbacinante estate illude

le ombre, le seduce colla brezza

col gracidare nell'agreste meriggio

svaniscono poi nel sogno di una notte

Implodono il sole e gli inganni

e come bambole senz'occhi

vaghiamo nel buio illuso di stelle.

Mondo che più non appartiene.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Estate” di Franco Conte

 

Dolorosa, la parola del Conte denuncia l’uomo che vive per avere il mondo e narra dell’inverno del mondo, inconscio dell’uomo, che rovescia i coscienti e illusori artifici di luce, a ristabilire una principiante incertezza. L’estate è la stagione che savia giunge a maturata coscienza e l’uomo dell’oggi non ha estate, resta ancora figlio acerbo dell’algido inverno, tardi a comprendere di non dover avere, di dover essere il mondo.

Dispersi

Stiamo ballando 
gli occhi negli occhi 
in una grande stanza a vetri 
di una casa su una collina 
in un settembre italiano 
Fuori un tappeto di foglie rossastre
riveste come un mantello caldo la terra
Dentro la calda luce dei nostri visi
percorsi da un sorriso di sogno
diffonde il nostro sempiterno segreto
Così fluttuanti
vestiti di pura musica 
usciamo incontro al sole morente
e su quel letto di rosse cadute
anche noi cadiamo 
per svanire piano 
mano nella mano
in un bacio 
dal sapore vano
di un tramonto dissolto
Dispersi d’autunno amore

Critica in semiotica estetica della Poesia “Dispersi” di Franco Conte

 

La parola d’immagini in chiasmo del Conte trova nella finitudine stessa l’ardenza dell’uomo, il tempo eccedente di un senso che muore e che rinasce. La caducità delle maschere, delle forme, delle parole, dei luoghi della coscienza è latrice di luce segreta. L’autunno approssima la rappresentazione alla volontà di verità. Nell’abbraccio d’indistinzione al grembo di perpetuazione naturale la materia caduca sublima nel soffio sempiterno d’amore.

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