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Franco De Luca

Viaggio

Nubi fragili al vento,

furia di forme a dismisura, ebbrezza

di unioni e d’abbandoni.

Viaggiandole dal treno

se ne avvisa una schiera

in guisa di cromatica tastiera

spartirsi al finestrino

il breve sventagliarsi delle dita

rosate dell’aurora.

 

D’imposta al buon governo

dei lunghi bui d’inverno

della malinconia

sta un bel viso di donna 

ben riflesso nel vetro

che riceve a rimando

la liturgia di sguardi senza sosta.

Poi con grazia crudele

si precisa la libera figura

della bella persona in cui la donna

ben presto si ravvisa maturando

dolcemente la cura 

delle mani a conchiglia

sull’acuto bagliore dei ginocchi

cercandomi, prescelto sconosciuto,

lo spasimo negli occhi.

Ma nei suoi occhi nevica la luna

e il bel viso s’imbruna

di ermetica poesia.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Viaggio” di Franco De Luca

 

D’inesauribile meraviglia, la parola del De Luca è luogo che mette in via e che in via è messo dalla sconfinata immaginazione visiva e sinestesica, che finanche smuove l’aurora ad un melodico commiato del viaggio poetico. L’iter è risveglio del desiderio di desiderio dell’uomo alla metafisica della parola, come alla velata riflessione al vetro di un’Afrodite: è il lancio della volontà in rimando al significato, eternato vivere, che mai solve il divenire figurale. La parola del poeta è tensione desiderante, seduzione delle immagini cosmiche, rito sacrale per l’infinito, veicolo di senso e di valore, sorgente che si abbevera e che riluce delle profondità preziose dell’inconscio.

Poiein

E vedilo un poeta mentre prova,

nell’aria che risuona

dell’idioma dei venti, una scansione

di ermetiche cadenze.

Con vaghi portamenti della mano

tra la conta e la danza

a scambi ambigui guida

le già impennate dita a pentagramma.

È con esse che affronta, chiuse a pugno,

il canone canoro delle Muse.

 

E tra umori celesti

ed estri temerari

spicca a seme di sonora sostanza

da esoterici testi

qualche chicca di parole in colonna.

E fa che in ogni stanza si rinfreschi

l’immagine di Eco come donna

che adeschi e infiammi lui

che danza e che poeta.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Poiein” di Franco De Luca

 

È un fare la poesia, il modo di vita della creazione artistica, del componimento musicale, che genera per ispirazione entusiastica, ovvero che letteralmente accoglie in sé le divinità, le muse a volgere il pensiero. La parola melodica e sinestesica del De Luca nasce dal rituale della danza ed è ripetizione analogica, l’eco lanciata al desiderio, per la presentificazione di un’origine perduta. È Narciso il poeta che vive di sé l’irraggiungibilità oggettuale, sempre riflesso in eco di vacua e amante parola, che plurimo lo chiama, specchiante.

Mattina

Tra incanto e voluttà vibrando sbuco
dai languori del sonno
come dal bruco un papilio che va
dispiegando le alucce
e par che libro dica
lumeggiando in ausilio del mattino.

Di nuovo si rubrica un farsi nuovo
tra palpiti di palpebre a voliera
di sguardi volitivi ma furtivi,
ma vividi di brividi correnti
in lampi di malia. E quei corsetti,
su un vago balconcino
sì ben spiegati a festa
che lesta è la nozione
di un libero bacino,
nessuno me li adocchi
avanti che da eccentrica finestra
non trabocchi per vasta intimità
quell’ombra che traballa,
allegra messaggera d’una veste
leggera di farfalla.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Mattina” di Franco De Luca

 

La rêverie profonda della parola aurea del De Luca svela il segreto universale della trasformazione, della libertà oltre la forma, del rituale di morte crisalidea dello sguardo, per una metamorfosi di rinascita della coscienza. È il sacrificio dell’apparenza segnica, che tono e suono libra, che letteralmente solleva e sublima la materia in rubra e divina essenza sapienziale. Il poeta ricorda l’etica della conoscenza, nella nigredo dell’abito a vedere, per una sempre nuova luce, a nascere dall’eros diretto, plurale e fremente della vita, per una verità propria e attiva, dal passo transeunte. 

Novilunio

E stasera che fai,

stasera che sei tutta da intuire, 

o diva delle ombre, e dove vanno

senza storia le valli e il bel cortile

 

e queste spighe, oh tenebre profonde,  

ancora da finire d'esser bionde?

Da un balcone di nuvole in fermento

certo vola un bel velo

 

sulle languide membra di Endimione   

che adesso è te che attrae

tra le sponde soavi di quel sonno

 

che già dorme per te.

Ma, qui nuova di forme, un'ombra c’è

che senza veli danza il tuo ritorno.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Novilunio” di Franco De Luca

 

Seducente, la parola del De Luca canta il piacere e il differimento del desiderio del corpo sui campi di luce lunare. Ella si assenta in novilunio per entrare nel sonno dell’amato Endimione: è questa l’ombra diretta e danzante dell’evento fremente d’amore, che precede il nuovo riflesso di sublimazione in poesia della verità.

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