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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Gianluca Regondi
Le nuvole appese al vento
Mi racconto ancora le storie
delle nuvole appese al vento
mentre lo sbadigliare della luna
raduna un gregge di stelle
Scendo dalle nuvole
appese al vento
nascondendomi nelle rondini
e nel silenzio dei giorni
Avrei da raccontare altre storie
le storie delle parole
che non trovo nei fiori
Le storie della sabbia bianca
Quei posti nascosti da un tempo
che non ricordo
Mi accorgo delle ombre
sedute dentro le proprie domande
con una stagione di miele
e calzoni corti camminare.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Le nuvole appese al vento” di Gianluca Regondi
L’elementarità dei versi del Regondi è volta al ricongiungimento con le sostanze semplici e unitarie della natura. Il senso è domanda e l’identità è affermazione mai ultima. All’uomo non corrisponde il mondo, l’uomo è dialettica asintotica di opposti. La verità del poeta, ben lontana dal discorso apofantico, che distingue il vero dal falso, è compresenza di rivelazione e di occultamento, è gadameriana eccedenza dell’umano, che si trova andando, in certo modo, al di là di noi stessi. Eppure la poesia sa dissolvere la condizione segnica nembosa dell’umano e ritrovare l’originaria e immemoriale rispondenza di uomo e mondo nella vicinanza al silenzio, che il poeta disvela propria e speciale dell’infanzia.
Fragile
C'è un sapere nelle notti sbucciate
sotto l'acino di una mezzaluna
Un sapere di anime e di silenzio
Un viaggio senza una meta
Una o troppe stelle lontane
per una materia vecchia
come il tempo che ci rimane
perché ci si accorge di un sorriso
e di qualche ruga che traspare
tra le occhiaie e gli sbadigli
dell'impietoso specchio
che ti saluta tutte le mattine
C'è un vetro rotto nelle anime
che incontrano la tua
una pausa un timore
un nulla senza sapore
E vorresti sapere anche altro
vorresti sapere della terra
che sfami e che ti sfama
questa terra che sembra un caso
come se tutto l’universo fosse
un incidente divino e che la vita
sia solo fatta di 118 soldatini
con le loro stelle e le loro galassie
quasi sempre infinite come l’urlo
indefinito che ti sale da dentro
e confonde ogni sogno e ogni desiderio
devi sapere devi comprendere
l’innocenza che ti assale
nelle notti sbucciate
sotto l’acino di una mezzaluna
Critica in semiotica estetica della Poesia “Fragile” di Gianluca Regondi
La parola solitaria, continua, inerziale del Regondi rispecchia l’umana dimensione temporale, che la sinestesia poetica riesce costitutivamente a tangere. Unico desiderio umano è la tensione al conoscere, a portare il sapore sensoriale a coscienza, dall’urlo alla parola, anche quando l’alterità non restituisce, non racconta, non riconosce di sé. Il riconoscimento del poeta è demandato alla terra, alla madre archetipica, nel rituale della vita fra la nascita e la morte, eppure mai l’umano è redento dal divenire eracliteo, dal caos inconsapevole dei sensi.