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Giorgio Bottò

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Finestra sul Carso” di Giorgio Bottò

 

La veduta autunnale del Bottò solleva dalla nigredo del bacino della roccia carsica alle cromie alchemiche della viriditas, la linfa dell’anima rivolta, della citrinitas, la prima elezione cosciente e della caduca rubedo, che spoglia la rappresentazione per approssimazione alla verità. L’autunno arricchisce nel paradosso della sottrazione, per la partecipazione al grembo di perpetuazione, per l’aurea quintessenza eterna.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Inanna” di Giorgio Bottò

 

L’espressione fittile è ispirata alla scrittura cuneiforme e dedicata alla dea sumera che sintetizza in sé gli opposti: della fertilità della terra e del cielo, per il movimento di morte e resurrezione. La “PittaPoesia" è il connubio linguistico dell’arte del Bottò con la poesia del Freschi e l’oro nelle fratture omaggia l’arte psicofilosofica giapponese del kintsugi di sutura delle ferite, volta anch’essa alla palingenesi della coscienza.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Terre rare” di Giorgio Bottò

 

Giorgio Bottò ispira l’opera pittorica alla poesia di Pierpaolo Freschi nel connubio espressivo di una “PittaPoesia” sulla guerra in Ucraina. È la visione di “due vecchi sorreggersi a stento” in un cammino di dolore, tanto esterno quanto interiore, nell’impossibilità di un’individuazione d’inconscio e di coscienza, perché il nucleo notturno resta scisso e fremente, a scuotere, non trovando significazione l’orrore della guerra. In un atto di partecipazione panica è il cielo, che soffre, mescolando il sangue del tramonto ai rossi riarsi della distruzione, senza catarsi. Il conflitto nega, con l’esistere dell’altro, l’essere stesso dell’uomo.

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