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Giovanna Nosarti

Come una pianta di senape selvatica in mezzo ai binari

Come una pianta di senape selvatica

– in mezzo ai binari –

sognando prati dove – l’andirivieni –

delle stagioni è nell’ordine delle cose

dove il posto assegnato dal caso

ha la congruità – rassicurante –

dell’inizio e della fine

senza l’incertezza – destabilizzante –

dell’esistere altrove

fuori dal posto stabilito dall’ordine

che – reclamiamo incessantemente – nel disordine

dell’esistenza.

 

L’illusione è in quel verde gagliardo

– nel fuori luogo della stazione –

che sfida senza alcuna pretesa – la meta –

chiusa nelle destinazioni delle valigie consunte

o nell’ipertecnologia delle compatte che promette

un’eternità a buon mercato di resistenza agli urti

– col vaticinio di un certificato d’eccellenza –

 

L’illusione è una pianta – sbocciata all’improvviso –

in mezzo ai binari a – sfidare – la vita ­

fino alla prossima manutenzione delle rotaie.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Come una pianta di senape selvatica in mezzo ai binari” di Giovanna Nosarti

 

La profonda potenza ironica della parola della Nosarti rappresenta metaforicamente la condizione umana costitutiva di dislocazione, la dimensione eccentrica dell’altrove, il luogo erroneo della verità nella coscienza del dolore. La pianta di senape selvatica è un potenziale rimedio d’illusione solare contro gli stati di tristezza e di depressione della riflessione, è una crucifera che apre quattro petali a croce, in attesa di sacrificio della forma materiale, per la trasfigurazione.

E verranno ancora

E verranno ancora

venti di scirocco gelate

tramontana a sfarinare

i muri delle case

 

E verranno ancora

umide sere davanti al camino

ad aspirare linfe residue

della vita silvestre

mentre fuori si prepara

l’inverno

 

E verranno ancora

gemme che preludono

al sole

e poi torride estati

a fissare il mare

che ondeggia incontro al cielo

mentre il verde c’invita

a mollare gli ormeggi

​

Critica in semiotica estetica della Poesia “E verranno ancora” di Giovanna Nosarti

 

Continua, corrente, la parola della Nosarti diviene, a inseguire le ripetute ritornanti vestigia che ormeggiano al tempo, fino a trovare nel tempo stesso il sentimento che supera il tempo, l’attimo di metanoia nel colore ascendente della viriditas, dell’anima rivolta al luogo eterno che risolve all’unità.

A volte

A volte – con lucida e quieta disperazione –

vorrei scappare in qualche piccolo anfratto del tempo

dove il cuore è stato felice

anche solo per un momento

e godere del pieno

con smisurato senso del tutto. Rastrello allora

frammenti di luce e mi lascio guidare da pur

deboli raggi.

 

A volte – annaspo – in questo presente

che lega con mille lacci sfrangiati

la mia incessante ricerca d’innocenza

alle maglie sgranate di un tempo

rapace e inclemente.

Frammenti di paesaggi noti – erosi dall’abitudine –

sono sfondo a un’ansia che cresce

– col progredire delle scansioni –

come lievito che alimenta l’affannosa ricerca

di senso.

 

Mi muovo in uno spazio enorme, desolatamente

grande – come dopo un trasloco

che ha impacchettato la vita – confinandola

in un’altra forma. L’assenza percorre veloce vasi

capillarmente lanciati a saturare la fame di vita

ormai senz’appello condensata in offerte

– geneticamente modificate –

Critica in semiotica estetica della Poesia “A volte” di Giovanna Nosarti

 

La parola in ricerca di senso della Nosarti soffre il caduco movimento inarrestabile e la prigionia riflessa del segno per l’oggetto significato in assenza, che esilia e che rinvia ad una luce altrove e prima. La condizione umana è segnica ed analogica, che diveniente incarna il desiderio impossibile di essere. Arte di vivere è azione figurale in ansia di ripetizione e la forma è sempre maschera transitante della vita, invocazione al volto ineffabile dell’origine.

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