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Giovanni Guaglianone

Dipinto

S’inerpica,

a tratti,

il sentiero,

che il tempo ha scolpito,

che il passo ha increspato,

tra zolle.

Saliamo.

Profili sporgenti di pietre,

di sterpi,

di rami avvizziti.

Sopra tronchi infuocati,

un frinire insistente,

un vibrare accanito di foglie.

E nell’aria

un rimbalzo irrequieto di suoni.

Più in alto,

sul colle,

un ritorno di eco

di mandrie migranti.

Tra i riverberi all’ombra,

sui prati,

un diffuso velame di incanto

ci riempie,

ci acquieta.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Dipinto” di Giovanni Guaglianone

 

Battente, la parola gestuale e iconica del Guaglianone accompagna la salita con l’erpice dei sensi, aggrappati e carezzanti l’erto paesaggio, riarso e spoglio, della coscienza estiva. A domare, a lenire in sinestesia, con una trasmutante erpicatura, la terra arida in aria vivida e sonora, distesa, sfumata e interiorizzata per incantamento, ad acquietare l’affanno del cuore.

Danza la vita

Scivola piano
il tremolìo del vento
caldo,
invadente
tra le sterpaglie;
scuote il torpore
rigonfio,
altèro,
aspro
dei rovi.
S’addentra, invade:
scova il silenzio
denso,
ammantato,
fresco dei muschi,
il profumo vagante,
l’erba,
i colori.
Avvolge il tremito
lieve,
alternante,
l’eco dei palpiti
sommessi,
erranti.
Insegue il corso
d’acque fluenti,
frivole,
ansanti.
Guizzi improvvisi,
vari nell’aria.
Sciami di foglie.
Inquieta o pavida,
scomposta, informe,
agile o stanca,
danza la vita.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Danza la vita” di Giovanni Guaglianone

 

Vividamente pittorica, la parola musicale del Guaglianone apre alla sinestesia della presenza e del respiro, a scuotere le membra nella passione sublimata dell’animo: è il senso eterno, fra i segni finiti, caduchi. È l’abbraccio originario dell’uno, che risolve l’incedere dialettico e duale dell’esistere, per la danza fra il battere della materia e il levare dello spirito, che sposa il divenire all’essere.

Fragilità

Intorno
è un vagare incessante di ombre,
irrequiete,
indecise,
un errare fremente,
distorto
di corpi;
tragitti indistinti,
roventi,
rigonfi di affanni.
Rimbalzi vivaci di rabbia.
Sofferti abbandoni.
Sfuggenti,
insinceri, 
inutili intrecci di quiete.
Ma, ovunque,
nei prati,
tra gli esili steli,
tra sterpi,
sussurri armoniosi,
silenti
di vento
e nell’aria
profumi di erba,
risuoni,
bisbigli di foglie aleggianti.
Dispersi,
smarriti nel vuoto,
confusi,
pressanti pensieri.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Fragilità” di Giovanni Guaglianone

 

Di sensi e d’anima, la parola del Guaglianone canta la fragilità dell’uomo, sonoramente la frange e frammenta in moti ardenti di corpi mancanti, di parole autunnali, nate a morire. Ma, oltre l’esile finitudine dolente, inetta e fremente del dire, ecco lo spazio fra le cose, la sinestesia dei sensi, il senso unitario e residuale che rifonde: è la continuità armonica, l’anima dei luoghi mutili e struggenti nel silenzio del vento.

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