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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Giovanni Sardi
Il silenzio della notte
Desidero che nell’odierna realtà
ritornasse una parte di felicità.
Basterebbe una mano che
porti una carezza;
un gesto inatteso
che riporterebbe luce
a questi giorni.
Sono attraversato
da ombre sconosciute.
Vorrei annullare tutte le distanze
per riavere la dolcezza del tuo amore.
Vorrei che nel silenzio,
l’ombra della tua assenza,
restasse ad accarezzare
i ricordi nei domani
intrisi di dolore;
in modo che i pensieri, fermandosi,
andrebbero ad afferrare l’impossibile:
ascoltare le tue parole,
nei battiti del cuore
dei silenzi
strani della notte.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Il silenzio della notte” di Giovanni Sardi
La parola epistolare del Sardi, madida di dolore, è languidamente rivolta all’assente oggetto d’amore ed è insieme dialogante e supplice con la propria volontà stessa e primaria di vita. L’autore sa che la chiave dell’amore per il vivere è la meraviglia dell’inatteso, il senso, che cancella lo iato al desiderio e la sinestesia dei sensi, accesi nella rêverie sospesa del tempo notturno, che la coscienza accheta e che, liberamente, restituisce in presenza l’assente perduto.
Insieme per sempre
C’è un buio che mi circonda;
perdo i passi
e non riesco più a starti accanto,
no; non aspettare che ti raggiunga,
torna indietro e prendimi nel tuo cuore.
Dimmi dove nascondi le tue ombre, le passioni,
paure, i tuoi silenzi… fa in modo che io possa trovarli
e lì, mettere anche i miei.
Dimmi se è giusto cercarti ancora,
per accorrere là, dove sei tu,
nei versi incompiuti della mia e tua solitudine.
Seguirò quella strada rimasta impressa nella mia mente,
tante volte tornata nei miei sogni tra i dolori
mai sopiti nel ricordare le albe felici.
Non starmi dietro…
non passarmi avanti…
potresti non accorgerti di quando ti sorrido,
potrei non vedere quando piangi.
Resta, invece al mio fianco,
solo così, insieme,
potremmo incrociare
i nostri sguardi.
Critica in semiotica estetica dell’Opera “Insieme per sempre” di Giovanni Sardi
Supplice e invocante la parola del Sardi è melodia dondolante, a ricucire la mancanza nella continuità.
È rituale a rendere compresente un’assenza, nel chiasmo del movimento dello sguardo: in una riflessività fra senziente e sensibile, che è originaria transustanziazione, nella coappartenenza di sé ed altro nel sentimento dell’amore. L’abbraccio fra vedente e visibile, nella sincronia dell’intreccio del riconoscimento, è accoglienza in sé dell’altro,
a completarsi.
Cicatrici
Restano calde, le cicatrici
che accarezzano il mio muto tempo,
lasciando, a me, un futuro che
non segua la speranza
di andare oltre di te.
Tu che eri la mia memoria,
mi lasci a guardare
la luce che scappa dai tuoi occhi
come un’anima che prende il volo.
Cicatrici, che parlano nei ricordi dei nostri occhi
persi l’uno nell’altro,
di quelle rive acerbe della tua infinita adolescenza
mentre un soffio d’aria squassa il mio petto.
Tu, con la testa appoggiata sulla mia spalla
come sicuro sostegno dei nostri sogni
che parlano, come linfa di sorgente d’amore.
Nel silenzio, tra le mura di quella stanza
mi lasci da solo;
un bacio e sei andata via lasciandomi in dolorose
illusioni senza se e senza ma.
Triste destino
tra certezze, crudeltà dei sogni,
e poesia.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Cicatrici” di Giovanni Sardi
Lenta e discendente appoggia la parola del Sardi a toccare la realtà del dolore nelle cicatrici, in ciò che letteralmente attorno cinge e lega, nel segno che rimanda alla verità dell’oggetto. Il non senso muto della linearità del tempo solo si redime nella cadenza della ripetizione nel cerchio del ricordo, che ritualmente sutura la ferita aperta della mancanza, che riannoda l’essere al divenire, nella catarsi del senso poetico.
Passo leggero
In queste notti senza luce, senza te è sempre inverno.
Il vento gioca con i tuoi capelli.
Sorridi.
Tu passione muta della mia anima,
portami con te, in modo che possa baciare le tue mani,
il tuo viso, sussurrando il tuo nome.
Non so dove il tempo si è fermato,
so solo che è rimasto il mio animo a sognare te.
Resto ammalato nel consumare la mia luce,
tu, sbalordita meraviglia; come una perla d’amore
persa su labbra calde e rosse.
Te ne sei andata con il tuo passo leggero
portando con te le mie rose insieme la mia estate.
Vorrei stare come in quelle tranquille sere accanto al tuo
cuore, avvolgendo il capo nei tuoi capelli.
Le mie lacrime ora, ogni sera,
chinato su mani bagnate
dove trovo solo pareti oscure
non lo splendore della luce,
la tua.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Passo leggero” di Giovanni Sardi
Intima e raccolta, la parola del Sardi concentra, in oniriche immagini che la meraviglia dischiude, la presenza pervasiva della dolorosa assenza incolmabile dell’oggetto d’amore. Il poeta identifica la sua vita stessa nella donna amata, la cui luminosa trascendenza ha fugato la luce di ogni bellezza quotidiana, ricacciando nel limbo sospeso di esilianti mani disperate l’ineffabile coscienza di una inelaborabile perdita, perché viva una sognante continuità d’amore inestinguibile.
E se fosse già ieri
Nostalgia di cose lontane
quelle mani che stringono le mani
gli occhi che indugiano l’un l’altro
così iniziò la storia dei nostri cuori
un amore semplice, tra te, e me
nelle anime delle rivelazioni
un intreccio di giochi
fra gelsomini e profumi di viole
nei misteri e sorrisi delle nostre timidezze
tu accanto al mio cuore
come risveglio del mattino
ti sfioro con le mani
perdendoti nei passi
di sentieri sconosciuti di un giorno d’inverno
porti con te la mia anima
per non tornare mai più
vorrei riaprire porte, finestre,
per fare entrare sole e vita
alla mia porta bussa
solo la solitudine
la apro
come fosse ieri,
ma, non c’è mai nessuno.
Critica in semiotica estetica della Poesia “E se fosse già ieri” di Giovanni Sardi
La parola nostalgica del Sardi guarda alla transitorietà del presente e alla sua fragile inconsapevolezza, fagocitata nell’incombenza del passato. Solo la sinestesia del chiasmo di mani e di sguardi riporta il passato nel presente, a destare reificati ricordi, nella speranza iemale del ritorno di una primavera perduta.