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Giuliana Capizzi

San Francesco

San Francesco, in mezzo
alla natura, lodi mandava
a Dio,
il tempo passa
che la mente dell’uomo
crea con scienza
alla tanta moltitudine
agiatezza.
Cambiato è il paesaggio
non l’animo nostro
che guarda di marzo
il volo a cerchio
basso dei rondoni.
E, tra il cemento
che d’estate scotta,
si vede al davanzale
il rosso
di un geranio.
Ai prati,
ai monti
al mare,
nel molteplice colore
riposa l’occhio sognante,
animo nostro.

Critica in semiotica estetica della Poesia “San Francesco” di Giuliana Capizzi

 

Melodica, la parola della Capizzi è ode alla natura come lembo dell’animo umano, luogo di un continuum originario smarrito, eppure mai dimenticato, sentita teofania di una divinità unica e partecipe, panica, ritrovata in una trascendenza che abita immanente le molteplici bellezze del creato. Nella fuga lineare e tecnoscientifica dei giorni della coscienza umana, l’animo riposa nella rêverie del sogno, della curvatura del tempo, nella risposta naturale, consacrale, armonica e universale di senso alla domanda essente dell’uomo.

Nella pace del pomeriggio

Nella pace del pomeriggio 
invernale, quando la giornata 
nell'uggia sembra non finire 
anche se il sole tramonta 
tanto presto, 
e nasce così tardi, 
nella pace del pomeriggio 
si usciva per le vie del centro 
nella giornata di festa 
a vedere volti sconosciuti 
che non ci importavano, 
a sentire rumore di macchine 
a scoprire giochi sul litorale 
di un bambino felice. 
Il fascino di un mare 
con la barca lontana 
che raccoglie la rete. 
Il fascino del mare 
che rientra sull'arena 
scavava nei nostri pensieri 
nello sguardo senza discorso 
del pomeriggio passato.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Nella pace del pomeriggio” di Giuliana Capizzi

 

Dondolante, ritornante, la parola della Capizzi coglie così l’essenza del luogo umano nell’eco. È l’eco di un mare che è andato e che ritorna, sull’arena, ad elargire tracce di pensiero di un sentire trascorso ed ineffabile. È una forma preziosa di pensiero a pescare, a tornire unico un istante dal grembo, tutto interiore, di un’indistinzione.

Quella sera

Quella sera nel viale
che l’autunno
aveva reso di foglie
sul selciato,
quella sera
dai lumi offuscati dalla nebbia
quella sera
c’era una pioggia sottile
che picchiettava
e non bagnava.
Quella sera
era un vociare muto
di pioggia e foglie secche,
un respirare vicino
al mio respiro,
una preghiera silente
che ovunque c’è
e raramente si sente.
Il caldo della vita
nella vita universale.
Sconosciuti
gli uni agli altri.
L’esistenza,
piccola come qualcosa
che si può tenere in pugno.
Tutti noi
inconsapevoli
di questa vicinanza.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Quella sera” di Giuliana Capizzi

 

Dondolante, la parola delicata della Capizzi culla il respiro unanime del silenzio. La caducità del tempo allora si libera in un sentimento universale ed eternante. In autunno l’apparenza si nuda: la rappresentazione avvicina alla verità. L’autunno è letteralmente ricco di vicinanza dell’uomo all’uomo e al grembo naturale. La poetessa supera la materia e la coscienza, per il soffio animistico della pienezza essente.

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