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Giuseppe Festino (Fenice)

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Testacuore” di Giuseppe Festino (Fenice)

 

I profondi onirici e tormentati del Festino sono carpiti dal tratto marcato e graffiante, accesi, da ignee cromie di contrasto, in veementi comparse, tracimanti alla luce improvvisa del ritaglio della coscienza.

Il luogo femminile è emozione panica e precategoriale, è un’eco lunare e un rimando emotivo dell’artista, è aperta malinconia fra presenza ed assenza, fra perdita e conquista: è esigenza di rispecchiamento, di propriocezione, di riconoscimento del sé che nasce, che muore e che rinasce, alla ricerca di se stesso, in fuoco dalle sue ceneri.

Giuseppe Festino Fenice, Babel.jpg

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Babel” di Giuseppe Festino (Fenice)

 

Il pathos dell’imago-azione pittorica del Festino proietta il moto d’intreccio di una torre babelica carnale: è l’alfabeto muto, unico, irriflesso, precategoriale e universale del corpo terreno, che con perversa e tracotante ambizione di superbia brama il raggiungimento della deità. È l’indistinzione della divina animalitas, dell’azione che precede la parola e l’identità del nome e che vive la vita instante il continuum transitivo al mondo. L’artista ricrea l’infinitizzazione di un sé totale, regresso, infine, sino a puro e primigenio movimento igneo dell’immemoriale, all’origine archetipica dell’uomo nell’elemento naturale.

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