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Jolanda Anna Tirotta

LACRIME DI RUGIADA

Da piccola,
il mio viso bagnato di lacrime,
sembrava rugiada,
e splendeva anche su un giglio,
il candido fiore,
ch’è simbolo di purezza.

Da adolescente,
ancora, il mio viso era bagnato di lacrime,
come la rugiada cristallina,
che rimane gelata per giorni
della fredda primavera,
sulle viole, e sull’erba,
di quel campo dove giocai da bambina.

Da donna,
ormai, i miei occhi,
rassegnati da pianti notturni,
di dolori, di rimpianti, di rancore di rabbia,
e se pur con pudore,
lentamente il mio viso,
continua a bagnarsi,
di quelle gocce, che solcano il volto,
lasciando il bruciore sulle labbra,
che per orgoglio si chiudono
per non chiamarle lacrime.

Ed ancora adesso,
che ho in mano una rosa,
ammiro il suo colore,
odoro il suo profumo,
e mentre guardo quel fiore prezioso,
m’accorgo che brilla,
che luccica di rugiada salata,
sono ancora le mie lacrime.


E sui petali della rosa,
saranno gocce di cristallo profumate,
le mie gocce,
i miei ricordi,
la mia vita,
le mie lacrime.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Lacrime di rugiada” di Jolanda Anna Tirotta

 

Delicata, la parola della Tirotta esprime dolore, a distillare la materia emotiva ineffabile in rugiada, luminescente alla fiamma del cuore. Sono le lacrime a fiorire coscienza dall’inconscio, alla ierogamia della notte e del giorno. La rugiada sui petali di rosa è trasmutazione della materia, fecondata dallo spirito divino, è nettare eterno dell'amore sacrificale che vince la morte nella messa in opera di una verità nuova. Il sale lacrimale è albedo, la scintilla dell'anima del mondo, il richiamo che pone la molteplicità nell’unità, a fissare la reminiscenza paradigmatica di una vita fatta propria, che sorbe a nuova presa di coscienza la vastità dell’abisso.

Rimorso d'infanzia

Gran donna,

grande contadina

e grande amica di tutto il vicinato.

Con ansia mia madre aspettai

quella lontana sera,

che dopo tante ore di lavoro,

stanca, sudata, con i capelli incolti,

mani ruvide, e scarpe ancora sporche.

 

M’addormentai,

su quella vecchia seggiola,

ch’era vicino al grande focolare,

s’era fatto tardi…

e lei… mi sussurrava piano,

con dolcezza, se pure tanto stanca,

ch’era l’ora di andare a letto.

 

Mi svegliai,

io fingevo di dormire

pur di avere ancora le sue carezze

e l’abbraccio che non avevo mai avuto.

In braccio mi portò su per le scale,

stanca, affannata, e con tanta fatica,

appoggiata sulla spalla sua,

in basso… io guardai

sentivo ancora la fatica sua

e una strana sensazione io provai.

 

S’impadronì di me un gran dolore,

uno scrupolo, che ancora mi fa male

e il rimorso è compagno mio.

Ricordo ancora con malinconia,

le sue mani, stanche e grossolane,

con tenerezza e con tanta dolcezza,

accarezzarmi.

Ricordo… quella sera.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Rimorso d'infanzia” di Jolanda Anna Tirotta

 

Narrante, la parola della Tirotta si fa la viva sinestesia presente di un ricordo, pieno di senso, di valore. Il sacrificio di volontà e di dedizione di una madre sublima sempiterno nell’athanor d’amore della figlia, che teneramente e paradossalmente prova l’irremordibile rimorso di chiedere l’originario abbraccio d’indistinzione, che fonda l’identità stessa di ogni essere.

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