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Joseph Barnato

Furit Aestus

Prima ha stormito a tratti intercalando

flebilità a ronzii la luce - poi

col crescere del caldo un' ossessione

l'ha colta ed ha frinito

per ore ed ore senza interruzione

 

di demoni un raduno le cicale

scatenato hanno in lei la sarabanda

 

talmente hanno insistito

le corde a pizzicare 

da spingerla sull'orlo

d'un pozzo di follia

 

di già per frenesia

l'abisso reclamava

 

proprio in extremis quando

era sul punto già

di sprofondarvi dentro

con limpidezza il suono

del silenzio il rumore ha tacitato

 

le streghe con i diavoli scacciate

tornata è all'improvviso all'armonia

 

ora che tu predomini languore

del giorno in agonia

in musica s'effonde per l'ambiente

con dolcezza una quiete senza pari

 

verrà col refrigerio della notte

di nuovo struggimento e nostalgia

 

saranno solo il sogno d'un ricordo

gli smalti dell'aurora - gli splendori -

le vividezze in trilli del mattino.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Furit Aestus” di Joseph Barnato

 

La parola elegante del Barnato si carica di valenza simbolica, nel connubio della cadenza ciclica del giorno naturale e della dinamica psichica dell’uomo. L’ardore estivo è il meriggio inaudibile della coscienza, è nevrotico fragore travalicante di abbagliante certezza identitaria, è soglia inflattiva che chiede il rovescio dell’ombra, per riaprire l’essere al senso e al movimento diveniente della forma. L’uomo, fra nevrosi del giorno e struggimento della notte, trova quiete di se stesso nel sentire esteso del “languore del giorno”, allo sfumare della coscienza nell’abbraccio amoroso all’inconscio, per un nuovo sorgere, per un nuovo sapere.

Il canto del Bul-Bul

È un suono apparentato col lucore

ma d'una levità maggiore ancora;

                             (come vapore in aria

                                  o sale sciolto in acqua -

                        eppure non così)

vi levita vi fluttua vi galleggia

per una legge non della natura -

un'armonia dall'ordine incorporeo

che i sensi disorienta che l'avvertono

come se non subissero uno stimolo

connesso dall'esterno con l'ambiente

 

e credono i sapienti

che sia di luce-prima quintessenza

(per simboli adombrata

da quella che vediamo a malapena)

che a cenno di preludio nell'udito

di sé faccia gocciare qualche stilla

 

sonorità di fiamma

                                                 vi suscita - un afflato - una parola

che - giunta al limitare

di quello stato in cui

per troppa intensità

                            schianta la percezione dei concetti    / in nulla / -

la concretezza in nulla degli oggetti -

 

                       in bagliore d'incendio divorato            /il tutto/ -

 

si volge all'ineffabile con supplica

ancora d'esaltarla tanto ch'oltre

il velo di bellezza ardisca - ormai

abbuiata - sospingersi a cercare

 

incurante del rischio dell'orrore

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il canto del Bul-Bul” di Joseph Barnato

 

Il logos filosofico del Barnato canta del rapporto tra physis e nomos. Il progetto platonico di cosa in sé mira a cancellare il desiderio, svincola le cose dall’esercizio dei saperi, quando invece ogni cosa è desiderio di una pratica: segno in tensione. Le cose in sé sono un costrutto operato a partire dal transfert oggettivante, retroflessione apparente della pratica di parola. Se il progetto platonico mira a esorcizzare l’horror vacui cercando d’impadronirsi della verità del concetto ultrasensibile, eterno e universale, è tuttavia al contrario la sinestesia dei sensi la chiave della sfida del superamento dell’identità, nell’ineffabile che precede la parola, lungo un’ontofilogenesi, che è soglia impersonale dell’infinità immemoriale e bellezza di un essere che, in vita, resta desiderio.

Il martin pescatore

Saetta un balenio l'idea nascente

 

è luce in metamorfosi - un'essenza -

un'energia smorzata mentre transita

tra spigoli e sporgenze nel pensiero

 

con un'opalescenza di riflesso

in freddo di materia

accenna a sostanziarsi - a rallentare

fino a fissarsi - sembra - per lasciarsi

nel vetro d'una forma catturare

 

ma attento! è una finzione!

 

se al volo non l'acciuffi… lo sapevo!

t'è sfuggita: si liquefa in gorgheggi

                                                   s'invola        si dissolve              

                                     e all'aria vaporizza       

                                            del mattino;    l'hai perduta!

 

                                                    inarrivabilmente a ondate i canti

                                  di tortora e usignuolo

                               la spingono lontano

 

nella policromia della picchiata

d'uccello pescatore poi scompare

 

vedi? neppure s'è increspata allo spruzzino

l'indifferenza, l'apatia del mare

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il martin pescatore” di Joseph Barnato

 

Rapida e librante, la parola del Barnato simbolicamente narra dell’umana sfida di Alcione, che in amore rinomina di sé e dell’amato al nome divino per la conoscenza, tuttavia, la finitudine dell’umano è destinata alla realtà riflessa e seconda del segno. La deità costringe l’umano martin pescatore al rito di morte e rigenerazione della coscienza alle profondità dell’inconscio, per tentare di redimere la disperazione luttuosa in nuova promessa di abbondanza, oltre la superficie dolorosa della vita, nel pescoso guizzante, illusoriamente rapito alle ineffabili profondità acquee.

Cordigliere d'effimero

In montagne fantastiche condensa

l'aria di lei sognando

  e cordigliere

    d'effimero sul mare concatena -

il mare che il suo sguardo

in profondità di verde ha impressionato

 

il sole che nascondono le vena

 

 

preludono gli spasmi dell'attesa

al deflagrare [esplodono in bagliori,

  le nubi - vaporizzano                   

                      

    la luce le scancella che disegna 

    le immagini del giorno e ne compatta

    per lo stato di veglia le presenze

                      

    per darsi a lei in omaggio ora competono

 

 

    tumultuano s'accalcano spintonano

    fanno ressa cercano agli atri

    degli incanti - agli occhi suoi - accesso

 

    (ne ha la magia degli occhi suoi al diamante

    i muri a vetri eretto;

    durezza e trasparenze

    ne affilano il nitore;

 

    cominciano - è per schiudersi? - a rifulgerne

    i portoni) (banchetto

    balli recite giochi

    e musiche in programma:    

    la festa è di sponsale)

 

 

        -<<entrarvi ad esser viste           

      a assumervi un rigore

    di forma - un compimento.>>-]

 

 

a me così suo tramite

la verità d'amore l'io rigonfio

di vacuità di velleità sconquassi

 

e tragga dall'involucro a brandelli

il nocciolo dell'uomo:

l'essere indegno d'essere

agli angeli modello

Critica in semiotica estetica della Poesia “Cordigliere d'effimero” di Joseph Barnato

 

La parola rapida, serica e fugace del Barnato corre nel transito di un’umana impermanenza, ad essere-per-un-giorno il prezioso legame dell’ineffabile, effemeride incarnata del sentimento. Gli occhi della donna amata sono grembo del mare e diamante al contempo, a gestare al risveglio una nuova cosmogonia nella congiunzione degli opposti, di inconscio e di coscienza, a rendere “tramite” l’uomo, letteralmente sentiero e ponte dell’oltre e, tuttavia, indegno di uno status ontologico angelico, nell’esser messaggero di divina volontà.

Echeggi d'antica speranza.
I Michelangioli

Let the whiteness of bones atone to forgetfulness

(T. S. Eliot)

 

In comunella col caso fa mostra

d'estrarci a sorte una forma di vita

il destino; risulta

essa sola però

 

   la più consona     l'ottima

 

l'unica che sempre s'adatti

a perfezione alla nicchia che scheggia

per scheggia scalpelliamo

col martellio dei minuti dal blocco

degli anni - assiduamente,

pazientemente asportandone i giorni

 

 

e combaciano gli atti / e gli eventi a venire

in rispondenza al millimetro esatta

con l'istante al presente

 

e - del superfluo smagrito - il macigno

la figura che in sé

/ già scolpita serrava / ora a nudo sprigiona:

 

una statua di scheletro -

un biancheggiare - un persistere d'ossa

 

 

che in nient’altro consista?

e che s’ultimi qui?

e che qui si compendi

la sostanza l'essenza

il traguardo la meta

e il motivo d'esistere?

 

 

in corpo ai vivi s’agglomera il tempo -

 

nella calce di teschi

e di femori aggruma,

di costole e tibie, d’ossame -

 

a lungo oltre il loro sparire

 

   nel mentre solleva speroni

   di marmo sui dorsi d'Apuane

 

quasi aspettasse alta carne permane

 

 

sebbene neppure un fantasma

possa ormai supportare

Critica in semiotica estetica della Poesia “Echeggi d'antica speranza. I Michelangioli” di Joseph Barnato

 

Drammatica, la parola del Barnato rifonde necessità e libertà, sottraendo il soverchio del tempo lineare per il luogo eterno dell’essere, che fa della potenza l’atto, essenziale. La creazione d’arte umana resta in lapidee ossa di tempo, come ad attendere una veste di vita superna e sempiterna, sebbene sia solamente, di un nulla ad essere, l’espiazione rituale di sofferenza.

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