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Laura Pavia

In paludi notturne

In paludi notturne

già brandelli del nulla

i miei pensieri,

 

come sogni distratti

che muti e profondi

di nuovo respirano.

 

Parole per di nuovo

l’intima ombra che a me

resta di ciò che sarei

 

e che ancora non sono,

in questo vago morir,

quando l’aria indora

 

il crollo muto d’ogni

mio credo e amara

qui la polvere sperde

 

nella sabbia che al mare

più non torna. Muove

l’aria il tuo dolore,

 

questo lento sparire

sopra e sotto la ruga

trasparenza d’esisto

 

senza più cielo, senza

più sere. È la distanza

tra me e il mio sogno,

 

il vuoto di questo

stagno, lo straniero

che conosco, a cui somiglio

 

ma pur non appartengo,

altra nella maschera

di me stessa: è illuso

 

inganno di promesse

nell’inquieta movenza

dell’uomo, per declini

 

già franti delle sue ombre.

Critica in semiotica estetica della Poesia “In paludi notturne” di Laura Pavia

 

La parola emotiva, spezzata e al contempo filosofica della Pavia è segno profondo, carico e tenace, disperata orma di senso del trascorrere, precipitato di vita che resta dei sentire più intimi. La parola umana è granello di sabbia e di dolore alla poetessa, è la distanza incolmabile fra la roccia della coscienza

e il mare dell’inconscio, dell’uomo fra il non essere ancora e il non essere più, luogo dell’altrove da se stesso, trasparenza del rimando, incertezza e ruga, maschera fenomenologica dell’esistere, tensione

e ingannevole promessa di piacere: unico valore e specchio crudele che l’essere infrange.

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