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Laura Trimarchi

PER LUI IO CANTO

Vanno rincorrendosi
le parole che colgo tra i prati
che fioriti non sono ancora
sotto gocce di rugiada
di un’alba mezza offesa
tinta di grigio.

​

Se chiudo gli occhi vedo
solo mio padre
sempre di spalle
sempre seduto
proteso sul bianco-nero
di tasti alternati,
rapito da un’agilità
incessante e fluente
come il volo di un merlo.
Lo ritrovo allo specchio
nei miei contorni
tra i miei sorrisi
enigmatico e delicato
felice del mio sì
ora che per lui io canto.

​

Tra questi prati senza fiori,
pesto gocce di rugiada
come lacrime a festa
di un’alba nuova, ricca
di un amore arcano,
ricca di infinita melodia.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Per lui io canto” di Laura Trimarchi

 

La parola in canto della Trimarchi è tutta tesa a presentificare la distanza e l’assenza nella melodia, che lega nella continuità dei sensi estesi il perduto. La musica è carezza che lambisce e scioglie il dolore, sebbene non sia primavera, che fiorisce e che palesa, nella speranza tiene viva la latenza dell’inverno. Il pianto mesce alla fertilità della rugiada ed è catarsi alla natura, per un nuovo inizio, perché è irrecidibile il filo incantato del sentire.

Il pensiero del mare

Non nasce in un giorno

il pensiero del mare.

 

L’ondeggiare svogliato

di lontani sapori

estende l’abbraccio

dovuto e forzato

verso terre inique,

mal ricambianti.

 

Clemente sorride,

dimentico delle più

efferate torture,

come a voler puntare

i piedi dell’onde

in una caparbia

tenacia al confronto.

 

L’uomo lo scruta,

spesso perduto in

vacui ricordi celesti,

dalla prua di un gozzo,

dall’alto di una vela,

sempre estasiato,

spesso assopito.

 

Ma il mare lo sa,

in un gesto che assolve

accumulando e restituendo,

sa ben riconoscere

chi cerca la vita

chi trova la morte.

 

Non nasce in un giorno

la tristezza del male.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il pensiero del mare” di Laura Trimarchi

 

Simbolica, la parola della Trimarchi affida al luogo archetipico del mare il grembo inconscio, ricetto di meraviglia e di abbandono, di continuità, di assoluzione, di oblio, di prova sacrificale, che serba e restituisce il valore profondo del tempo di elaborazione a coscienza della latenza di verità.

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