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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Lucia Fornaini
Fiori e baci
Fiori e baci cogliemmo sulle rive
negli anni matti della giovinezza
l’acqua del fiume dalle risorgive
s’allargava in percorsi di dolcezza.
Via calze e scarpe con la frenesia
dei piedi nudi sopra l’erba fina,
le camicie ripiene di follia,
gonfia sul petto la tela azzurrina.
E verso sera, stanchi di segreti
giochi d’amore tra i salici bianchi,
ci si fermava presi da stupore.
I burci ormai dismessi tra i canneti
nell’acqua ferma, già chini sui fianchi,
catturavano al sol scintille d’oro.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Fiori e baci” di Lucia Fornaini
La parola languida e dolce della Fornaini è carezza dondolante di acque chete al ritorno, acque memoriali. La nostalgia della poetessa non è struggimento di dolore per ciò che non è più, per la giovinezza
che il tempo ha portato con sé, ma è sorriso tenero agli anni del viaggio odisseico della conoscenza,
nel discernimento del valore profondo della sapienza della senescenza, che più non raccoglie per sé,
che meraviglia ad altri dona.
Vorìa
Vorìa n-dar a morìr proprio a Venessia
co’ l’aqua che me spenze a staltra riva
coe barche tute in fia che me compàgna
un remo inpiantà drito come crose.
Vorìa ciapar el largo sua laguna
co’ un cocàl che me çìga e orasiòn
sentìr a bava dolçe del garbìn
che increspa l’onda verde e smove ‘l trasto.
Vorìa stacarme adasio daa çità
che ga strigà i me sogni in mèzo ‘e pière
tra alberghi inbalsamai, nei cafè vodi
co ‘a morte che supiàva in fondo i basi.
Vorìa vedar i nùgoi farse streti
come corpi brassài che se parènta
i nostri corpi fati ormai de gnente
che se sfanta ne l’aria disperai.
Vorìa portarme drio tuti i me sogni
che massa volte in tera i ga smacà
svodarli in aqua adasio cofà arzenti
parchè ne l’aqua i slusa rancurài.
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Vorrei
Vorrei andare a morire proprio a Venezia
con l’acqua che mi spinge all’altra riva
con le barche in fila che mi accompagnano
un remo piantato dritto come croce.
Vorrei prendere il largo sulla laguna
con un gabbiano che grida le orazioni
sentir la brezza dolce del Libeccio
che increspa l’onda verde e smuove il “trasto”.
Vorrei staccarmi adagio dalla città
che ha stregato i miei sogni tra le pietre
tra alberghi imbalsamati, caffè vuoti,
con aliti di morte in fondo ai baci.
Vorrei veder le nubi farsi strette
come corpi abbracciati che si fondono
i nostri corpi fatti ormai di niente
dissolversi nell’aria disperati.
Vorrei portarmi dietro tutti i sogni
che in terra troppe volte hanno umiliato
svuotarli in acqua adagio come argenti
perché splendano in acqua riparati.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Vorìa” di Lucia Fornaini
Lento e suadente, della qualità dell’acqua di laguna, scivola il verso vernacolare della Fornaini, richiama sirenico alla rêverie abissale dell’elemento acqueo, che apre al segreto della continuità primaria dell’uomo al mondo. È il progressivo abbandono al complesso di Ofelia, al magnetismo irreversibile, che dalla dualità volge all’unità, per dissoluzione amante, in appartenenza al grembo naturale e archetipico delle acque, da cui tutto proviene, a cui tutto ritorna, per la morte in serbo all’eternità sognante.