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Luciano Gentiletti

Er busilli de l'incontrario

Come Giano, du' facce e 'na capoccia,

ciavemo drento er Bene e puro er Male,

'sta legge, ch'è pe tutti universale,

ce fa cresce er busilli ne la boccia.

 

L'incontrario te scopre quer che vale:

nun godi er frutto si nun c'è la coccia,

nun cerchi pace si nun c'è chi scoccia,

la notte more quanno er giorno sale.

 

Così a 'sto monno p'apprezzà l'Amore,

che governa 'sta favola infinita,        

l'omo nun pò fà a meno der dolore.

 

Senza er pianto che scenne su la pelle

nun t'accorgi der dono ch'è 'sta vita:

ce vò lo scuro pe vedé le stelle.

L'enigma degli opposti

Come Giano, che ha due facce ed una testa, / dentro ognuno di noi alberga il Bene ed il Male, /

questa legge universale, / è un enigma che ci accompagna costantemente. /

Abbiamo bisogno del contrario per comprendere quello che vale:/ gustiamo un frutto quando lo estrapoliamo da quello che lo ricopre, /

cerchiamo la tranquillità perché esiste chi disturba. / la notte svanisce quando sorge il giorno./

Nel mondo per apprezzare l'Amore, / che governa questa favola infinita, /

l'uomo non può fare a meno del dolore. /

Solo dopo aver patito una sofferenza / ci accorgiamo di quello che abbiamo: /

occorre il buio per poter vedere le stelle. /

Critica in semiotica estetica della Poesia “Er busilli de l'incontrario” di Luciano Gentiletti

 

La phrònesis, la saggezza pratica della parola viva, concreta, orale e vernacolare del Gentiletti,

offre il sapore incarnato del mondo della vita in uno spaccato emozionale e dinamico.

È occorrenza paradigmatica che precede, che dà senso e che avvalora l’astrazione logica:

la visione filosofica del divenire dialettico degli opposti, per l’individuazione identitaria.

Ancora un'artra guera
(La Russia invade l’Ucraina)

Nun c’è ‘na casa ch’è rimasta intera,

macerie zitte senza più lamenti,

finestre che sò bocche senza denti

che sputeno li sogni de chi c’era.

 

Tramezzo ar carcinaccio e ar porverone

‘na donna se strascina un passeggino,

ce stanno quattro cose e un regazzino

quello che resta da la distruzzione.

 

Cor peso de chi ha perzo ogni futuro

cerca un riparo inzieme a l’artra gente,

ma ‘na bomba chiamata “intelliggente”

fa sparì tutto dentro a un fumo scuro.

 

Nun sò vite strappate dar destino

ma dall’odio dell’omo che fa guera,

n’artro orore lassato là pe tera:

du’ corpi… quarche scarpa e ‘n passeggino.

 

 

Ancora un’altra guerra

 

Non esiste più una abitazione intera,

non si sentono più i lamenti delle persone tra le rovine,

le finestre delle case, rimaste senza vetri e infissi, sembrano delle bocche senza i denti

che fanno uscire i sogni di chi ci abitava.

 

In mezzo ai calcinacci e alla polvere

una donna trascina un passeggino,

sopra c’è un bambino e poche cose

quello che è rimasto dalla distruzione.

 

Col peso di chi ha perso il proprio futuro

sta cercando un riparo insieme ad altri

ma una bomba che chiamano “intelligente”

fa sparire tutto dentro un fumo nero.

 

Non sono vite strappate dal destino

ma dall’odio che genera la guerra,

Un altro orrore lasciato lì per terra:

due corpi… qualche scarpa e un passeggino.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Ancora un'altra guerra” di Luciano Gentiletti

 

Panica, la parola vernacolare del Gentiletti abbraccia nello stesso dolore l’uomo e le cose, nella partecipazione che tenta la catarsi impossibile di un vissuto comune e universale. Resta l’ineffabilità del male, poiché non integra, non sublima, non trasmuta la materia della sofferenza di fronte ad una coscienza che, crudelmente e meramente, tenta, sulla negazione dell’alterità, l’inetta affermazione dell’identità.

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