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Luciano Monti

Eros

Parlo allora, parlo infine, sono il nero
l’illuminante che non ha luce;

padrone assoluto della notte piena,
disprezzo il giorno vacuo e mi rifugio

nel cuore delle pietre luttuose per fiumi.
 

Parlo allora, parlo infine, sono il nero
colui che non sopporta la domanda;

breve minuto, punto nella pergamena,
Il fondo degli occhi della mia sposa segreta,
colui che non misura la distanza tra il divino e il sesso.

Parlo allora, parlo infine, sono il nero
creatore innamorato della mia opera.

Sono il dado che si getta in un letto generoso,
reggo il firmamento intero
e i cieli di Thirasia, Inanna e Giove e i cieli tutti.

 

Parlo allora, parlo infine, sono il nero, che tutto ha scatenato
e terra e acqua e fuoco, poi ho rotto la luna,
nella notte tutta tinta di nero, perché sta scritto:

Sono il nero, l’utopista,
che rapisce le vostre illusioni.

 

Sono il succo dolce dei vostri acini d’uva

quando pensate io sia un sogno,

giacché fiorisce una rosa.

Parlo allora, parlo infine, sono il nero che -voi dite-
getta olio nella lanterna, ma privo di fuoco.

 

Sono colui che - voi dite-
rapina la notte del sonno,
in questa notte, in questa strada gravida.
Parlo allora, parlo infine, sono solo il nero che voi vedete,

rosseggiare sulle pietre.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Eros” di Luciano Monti

 

La parola celebrativa del Monti apre alla potenza inconscia da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna,

che precede e segue l’atto di creazione cosmogonica, in piena teogonia e assolutamente prima di ogni parola,

di ogni giudizio, al di là del bene e del male.

All’origine non ci sono cose, ma relazioni e il poeta volge al ricordo immemoriale del luogo di origine

dalla siniana “divina animalitas” alla soglia della humanitas: antecedente la dipartizione fra segno e senso

è l’esperienza del sacro, per l’oggetto della vita eterna.

L’azione rituale della poesia è ritmo e ripetizione che attinge al continuum di uomo e mondo,

che anticipa la nascita di tutte le cose.

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