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Luigi Mattioli

Spicchio di mare

Solo il tempo potrà dire
se quest’umile strada, nascosta
tra macchie di olivi silenti,
mi ha portato via da te,
per sempre.

​

Spicchio di mare,
io ancora ti vedo, là in fondo,
a riempire di algido azzurro
lo spazio tra dolci colline
come fosse un bicchiere.

​

Vedi, la mia mano borghese
non mostra i solchi, né la fatica
di questi orticelli roventi,
della gente di queste campagne.
Né mi appartiene, invero,
il semplice, cauto lasciare
che tutto sia fatto di pioggia,
e di sole, e di poche parole.

​

Spicchio di mare,
mi basta sapere, stasera,
che non ti sei offeso,
e oggi puoi disvelare,
a me forestiero,
in questo paese,
il tuo saggio respiro
di vento salmastro,
la tua sobria presenza
nell’eterno lucore.

 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Spicchio di mare” di Luigi Mattioli

 

Semplice e saggia, la parola del Mattioli rappresenta il distacco dal paese natio, dal mare per la città d’entroterra, come l’iter elaborativo della coscienza che, lasciando l’inconscio, porta con sé l’illusione del raggiungimento di solide certezze. Eppure, sempre ritorna il richiamo, la sete della dimensione primaria ed elementare, come il luogo della verità. Così il poeta invita ad una dialettica che superi la contrapposizione, per la sintesi individuativa degli opposti, in una ierogamia d’acqua e di fuoco.

Di nuovo qui

Di nuovo qui, ma non sono stanco,
né, sai, mi sono arreso al tempo
che mi allontana, crudele,
dal dolce ricordo di ieri.
Qui davanti, la tua mano
tracciava tremuli solfeggi,
muoveva pollini e farfalle.
Vedi, c’è ancora il tuo profumo,
da respirare; la quercia sa,
e tace.
Di tutto ciò che abbiamo visto
noi, da questa scura panchina,
resta nell’aria una debole
traccia, e la tua ombra sorride.
La brina, la pioggia, la luce
del sole, poi un lampo veloce.
Qui torno, e cerco di te,
poi abbraccio il dolore,
invano inseguendo 
il tuo odore, cercando
la pace.

​
 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Di nuovo qui” di Luigi Mattioli

 

Musicale, la parola del Mattioli non arrende la tensione del dire all’oggetto d’amore perduto. La ripetizione analogica cerca nella sinestesia la presentificazione dell’origine. La melodia di un profumo resta, resta il movimento nell’aria, l’archetipica scia del desiderio, il volo di polline dell’immagine come la messa in opera della verità, che rinasce. È questo il grembo di perpetuazione che può superare il dolore della finitudine nel valore delle relazioni, in metafora dell’eternità.

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