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Manuela Magi

Ancora adesso

E poi è diverso il mare,

diverso,

come quando il frullo si fa volo

e le leggere piume di un viaggio,

sembrano disperate ali sullo specchio.

Ed è diverso il mare

nel doveroso canto annodato e teso,

nel mentre tacciono le note delle mani

che intrecciano fili ingarbugliati di un amore.

 

Ecco l'ombra di un remeggio,

controsole,

dondola sulla scia in luce -del tramonto-

l'ultimo arpeggio di colorate corde

che ambigue destano lo spiraglio tra le fronde,

il mare è diverso ancora adesso.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Ancora adesso” di Manuela Magi

 

La parola dispersa e ritrovata della Magi segue la corsa meravigliata della trasfigurazione, che sposa

la morte alla vita. Sebbene la sembianza sia, nella figura dell’allodola, la disperazione del desiderio di un’origine oggettuale negata, così come quella del sole dallo specchio, lo sguardo maieutico della poetessa lascia partorire il passato nel presente della parola, che è sempre remeggio, ripetizione, rituale fondante senso e valore, riconosciuto fra l’ancora del trascorso e il sempre diverso e insieme stesso dell’adesso.

Amami

Amami stasera,

contornami il silenzio di sospiri

e cingimi l'amplesso con i lacci dell'abbraccio,

mentre negli angoli di pareti assottigliate,

giungono parole di sussurrate voglie.

Ascolta, ti racconto di sogni immaginati

e di profili fermi contro i tramonti

accucciati sul proibito mio volerti.

Non hanno mani ma solo disparate unghie di rapaci

che svolazzano tra il soffitto e la coltre stropicciata.

Ma tu, amami ovunque, anche se l'assenza diventa corrugata fronte

e il ciclamino di montagna colora lo smarrimento,

quando l'ombra del crepuscolo, fa addormentare i petali delle margherite.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Amami” di Manuela Magi

 

La parola esortante e seduttiva della Magi invita al sonno della coscienza, all’abbandono dell’elusione, all’amore dionisiaco, inconscio, pulsionale, alla rinuncia all’astersione del peccato.

La struttura edile dell’io indebolisce, sotto i colpi attentatori dell’onirismo immaginativo,

che moltiplica, che differenzia, che involve, che innatura al descensus del sole alla notte.

E quando anche l’assenza crei di ogni luogo il segno del rinvio all’amore,

che questo non abbandoni il desiderio.

Il mio tiglio perduto

Era bello l'odore del tiglio
se era l'ombra del nostro cammino
ed era bello prendersi per mano,
tra i rovi del roseto del tuo giardino.
Era bella una strada di breccia
che la polvere imbiancava i passi 
per non smarrire l'erba dei fossi.
Era bello quando il vento scrollava la pioggia
e la goccia impaurita scivolava sulla foglia
se il torrente d'amore tra le pietre scorreva
e la gonna volava come farfalla.
Il profumo dei fiori irrorava la bocca
e il girasole di prato ci voltava la faccia.
L’imbrunire arrossava le nubi con i fili dei sogni incompiuti.
Era meglio quando il tiglio celava le colline
e le gambe rincorrevano le nostre distanze,
tra le case silenziose e le sue ombre,
quando solo le parole risuonavano l'eco
e l'ascolto diventava conforto e talento, 
ma era meglio la gramigna su pietre e mattoni
e i vicoli trafelati di voci e rumori,
se un dolore sussurrava confuso la pena
sulle trame scucite della tenda strappata,
a sembrare una vela dispersa sull'onda 
sopra il mare ingrigito quando c'è la tempesta.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Il mio tiglio perduto” di Manuela Magi

 

La parola innaturante della Magi cerca la corrispondenza fra paesaggio esterno e sentimento interiore. La poetessa si affida al tiglio, l'albero del cuore, simbolo di accoglienza e di amore che consacra all’eternità, o alla gramigna per la tenacia e l’ostinazione nelle difficoltà. La dimensione individuale trascende nel vissuto panico universale, compreso dal sembiante della natura stessa, che partecipa e condivide per una sublimazione.

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