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Marcello La Neve

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Il disegno divino” di Marcello La Neve

 

Il disegno divino è creazione e l’artista, in quanto tale, partecipa di questa gestazione della vita, dalla ricchezza del caos, alla meraviglia infante del cosmo. Nell’abbraccio di un chiasmo, il creante stesso è creato dalla sua creatura, è una transustanziazione: una ricerca della sostanza di sé all’interno del movimento, che è intreccio della visione. Solo il guardato ha visione profonda di sé: è la riflessività del sensibile, che nasce da una sensibilità originaria, diffusa e desoggettivata. Il supporto in mosso drappeggio è originaria coappartenenza d’io e d’altro. L’arte attinge a questa merleau-pontyana “nappe de sens brut” (strato di senso bruto), come sinestesia di vedente e visibile.

Marcello La Neve, Natura morta.JPG

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Natura morta” di Marcello La Neve

 

La vivida presenza figurale di La Neve sottende tutto l’iter armonico della sua messa in forma ed ha lo sfondo del suo prossimo vanire. Il panneggio è la melodia intima del supporto naturale e sensoriale, che pervade la vita stessa dell’oggetto. La rappresentazione della melagrana abita il mito di Persefone, che discendendo ogni anno agli inferi a congiungersi con Ade è latenza di morte, che rigenera la vita naturale. Così l’artista inscena il ciclo eterno della vita: la morte nell’essenza e la rigenerazione in forma, alla sinfonia del grembo di madre, che immilla nuova la vita.

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