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Margherita Flore

...e sarò fiore

Fugge il tempo, troppo breve è la vita
per lasciarla ancora un attimo
nel bitume che ha coperto prati verdi.
Dissotterro da pece le mie croci,
le mani aggrappo alla bellezza dell’essere,
vibra la promessa... che riascolto...
e ricompongo il mio progetto.
Scavo tra macigni, serpi e voci,
raccolgo pezzi di collana rotta,
riaccendo l’effimero di luci 
e tornerà rugiada che mi disseta.
E sarò fiore e sarò albero e sarò frutto,
pienezza con il sole dentro
che grembo si fa a nuova nascita 
nell’intimità che piace in notte stanca.
Atto d’Amore...
in lungo bacio è il mio incanto,
“Energia inebriante”
e Creo Vita a un Dio controcanto.
Potenza in stille primordiali di Universo, 
scintilla in ogni punto del mio corpo a te concesso 
e come seme alla terra, in nuovo palpito, più non sarò persa. 

Critica in semiotica estetica della Poesia “...e sarò fiore” di Margherita Flore

 

La parola alchemica della Flore è un descensus, dalla nigredo alla vita in albedo risorgente. La maternità trova il kairos, la curvatura circolare di senso di chronos, del tempo fuggente, lineare e depauperante del divenire, che porta all’eterno ritorno dell’individuazione all’essere. In una ierogamia rituale di terra e di cielo, la rugiada è il nettare eterno di Proserpina. Il grembo femminile partecipa del grembo naturale e divino e rinnova eternamente la vita e il sapere, oltre la fine. La filiazione è evento di significazione: è nascita di nuova forma di verità, a rituale di affrancamento dalla morte.

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