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GALLERIA DI OPERE IN POESIA E ARTE CONTEMPORANEA
con Critiche in Semiotica Estetica di Fulvia Minetti
Maria Teresa Infante
Senz'alba
(Mai nato)
Cercai di non pensarti
relegandoti nel ventre che non ti nacque
annegando i rami delle tue radici
tranciate tra il mio costato.
Mai ho dimenticato
i fratelli che non ti ho dato
segregandoti tra i chiodi delle mie stanze
e le nenie mute delle culle vuote.
Non ho mai scordato
il tocco delle manine sconosciuto
sui capezzoli prosciugati dalla tua assenza
e il latte inacidito che dissanguai.
Senz’alba
fu il cielo che ti partorì
tra le oscure doglie della notte eterna
in cui fui vittima e carnefice
dell’imperfetta sostanza che mi fece donna
tra la croce e la condanna.
Nascesti altrove
non seppi mai chi eri.
Morii di te… tu di me.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Senz’alba” di Maria Teresa Infante
La parola asciutta, dura e graffiante della Infante allittera profondamente per la coscienza del dolore
dello strappo insanabile della gestazione spezzata, sofferenza personale che si eleva e investe il grembo
stesso della natura, a cercare una cosmica catarsi, ivi anche negata. La vita nel grembo materno è dialogo sintetico, in sincronia, in sintonia, in sinfonia, entrambi senza esperienza antitetica dell’altro da sé, stretti in una soggettività totale, che, qualora innaturalmente infranta, provoca il vissuto di morte del figlio e, ugualmente, della madre.
Sognando calanchi
Più non sento
il respiro dei padri
trapassi remoti di stelle
zittiti da sciami di vespe
nell’ultimo giro di vite
chissà dove siete
signori di giorni defunti
sepolti da oracoli a Tebe
selvaggia vinaccia vi teme
trecento perirono in campo
di sangue lordammo guanciali
mimando perizia e potenza
gli ardori sedati dall’oppio
ormai non ci resta che l’onta
del nostro ominoso sostare
biforchi di pelle e d’intenti
striscianti di gechi fratelli
ma ditemi, padri di ieri
se più non vi regge la vista
di monadi sotto la panca
a nostra esegesi epigonica
qui nulla vi chiama a raccolta
si muore e non c’è un’altra volta
e voi più non siete da sponda
a questa frollata giacenza.
Oh padri vi prego ascoltate…
sognai d’una notte feconda
di palme al passaggio dei falchi
di terre in odor di calanchi.
Critica in semiotica estetica della Poesia “Sognando calanchi” di Maria Teresa Infante
Fra visione immaginante e filosofia, la parola della Infante è un descensus ad inferos, volta a monito della imperante scissione fra essere e divenire, fra memoria e oblio, fra coscienza ed inconscio, fra rappresentazione e verità. La poetessa invita alla sintesi degli opposti, alla reintegrazione del rimosso, alla ricerca della provenienza, per ritrovare il senso, il valore delle cose e la destinazione.