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Massimiliano Testa

Delicato fiore

Mai avrò ricordo più dolce

di quel delicato fiore

che mi separò,

 per un istante,

da questo nudo marmo.

La storia di quel fiore

scritta nel suo languido profumo,

come spada,

ancor

mi trafigge il ventre.

Eppur,

su queste lente acque,

il suo ricordo,

teneramente mi porta

ad incontrar l'oblio.

Ora,

ormai sazio del male della vita,

di quel nostro ultimo istante

sulla lontana sponda,

quel delicato fiore

ancor mi parla...

 

Mai avrò ricordo più dolce,

su queste lente acque,

di quel nostro ultimo istante...

Critica in semiotica estetica della Poesia “Delicato fiore” di Massimiliano Testa

 

Lo sciabordìo dei versi ritornanti del Testa conduce dolcemente i sensi a salpare su di una sinestesia olfattiva,

la cui potenza sintetica riscrive le forze elementari e gli stati materici, nell’estasi di stacco dal presente

di dolore e reifica e riaccende viva una presenza perduta, nella magia che rinnova, come onda, l’istante all’eterno.

Amore nudo

Ascolto le mobili dune

rapir la triste melodia

che lenta va,

svanendo,

sulle ultime luci.

Sul suo immutabile sorriso,

un teschio,

riflette le note

del mio annoso orizzonte;

nelle sue forme cave

interrogo il vento

che, lieve, mi scioglie

disperdendomi

ai suoi tiepidi sospiri.

Eppur

su queste mie carni informi

ancora vaga il mio amore nudo

che, muto,

ancor mi plasma

su questo vivo deserto.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Amore nudo” di Massimiliano Testa

 

La profonda e nostalgica poesia del Testa percorre echi finissimi della memoria, lungo una filogenesi e fino alla dimensione inconscia primeva dell’inorganico dell’essere, la sabbia. L’origine inorganica della vita richiama tristemente l’uomo alla necessità del ritorno. La memoria archetipica della quiete, in figura femminile d’accoglienza, dal sorriso e dal canto melodico regressivo, trascina la parola indietro, al respiro, al vento.

La morte, dispersione nell’infinito in abbraccio al mondo, al poeta è amore nudo, vero, a ritrovarsi ancora.

Sonetto imperfetto II

O Amore che dai senso al mio fuggire

spargi i tuoi colori sulle ombre ferme innanzi

e dammi degli amanti il puro percepire;

dimmi dei loro sensi vivi e anzi

 

dei loro rubati baci l'impossibile sfuggire;

dammi un cielo che in tinte nuove avanzi

quando una carezza afferra il divenire

non su chiare note, ma solo tra silenzi…

 

O Amore dimmi se la quiete

di questo inquieto viver mio

non è altro che la soave asimmetria

 

tra la passione e la malinconia;

tra l'inferno e un fresco rio;

tra un bell'astro e le libere comete...

Critica in semiotica estetica della Poesia “Sonetto imperfetto II” di Massimiliano Testa

 

La parola appetente del Testa vuole restare aperta ed incompiuta, a vivere l’oltre, nel dono raro e prezioso dell’alterità. L’amore è l’essere che significa il divenire, che restituisce il corpo senziente, proprio e vivo, un’intenzionalità irriflessa e precategoriale, che conduce attraverso un cogito tacito ad una sensibilità originaria, diffusa e desoggettivata, detta carne. E la prima indistinzione di sé e d’altro, che è lo strato di senso bruto in sinestesia, rifigura, dipinge nuovo il mondo. Eppure unico giaciglio al poeta è l’andare stesso,

il movimento della contraddizione, la mancata perfezione che muove a desiderio.

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