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Matteo Bona

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Absolving sins” di Matteo Bona

 

La pregnante grafica digitale del Bona interpreta, con raffinata profondità simbolica, la sintesi delle dimensioni del dionisiaco e dell’apollineo nell’azione assiale dell’assoluzione dei peccati, che non è mai tuttavia all’artista propriamente remissione alla volontà altrui e all’altrui perdono, né mai cancellazione, né rinuncia; è invece lo sforzo agonico, razionale e protagonistico, di emersione alla coscienza rapace di contenuti ctoni, soggetti a scotomizzazione e relegazione nell’inconscia selva precategoriale, per un naturale sentiero di trasformazione, per sublimazione, per diveniente e creativa messa in forma della materia pulsionale.

Matteo Bona, Metaphysical Necessities.JP

Critica in semiotica estetica dell’Opera “Metaphysical Necessities” di Matteo Bona

 

Il minimalismo astratto della grafica del Bona tende ad un’arborea bellezza di foglie-segni, attraverso il movimento ritmico che attinge al caos per l’ordine della coscienza. Ãˆ un effetto della pratica alfabetica la ricerca delle cose nella loro forma universale, soprasensibile e metafisica: l’oggettività della visione. Il soggetto universale è anestetico, estraneo al senso e schiacciato sulla bidimensionalità dell’informazione del significato, pubblico, logico, convenuto. È consapevole l’artista che l’in-sé dell’oggettività è diventato favola; è costitutivamente necessario all’uomo tuttavia inscrivere un evento nella luce del sapere. Nel ritmo del sapere siamo il momento secondo, specchiato: ripetizione di un’origine mai presente in sé. La sofferenza dell’uomo è non essere: è la distanza metafisica della presenza, distanza cinetica, quando la stasi è necessaria figura retroflessa del moto, sempre ad esso relativa; perché la stasi assoluta, come la presenza assoluta, non esistono.

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Critica in semiotica estetica dell’Opera “Ålesund” di Matteo Bona

 

L’elaborazione digitale del Bona, che respira il dinamismo dei motivi di uno stile ondoso (Wellen Stil) e di uno stile spiralico (Schnörkestil) dell’architettura modernista della città norvegese, denuncia che l’unità esistenziale dell’individuo, come quella estetica del paesaggio, non è più un apriori, ma è risultanza d’istanze interagenti. Nella bellezza della sinuosità e dell’asimmetria, gli opposti di luce e d’ombra, d’acqua e di fuoco, aprono una dialettica di contrapposizione alle certezze, di richiamo alla natura profonda della dimensione inconscia, oltre il parapetto difensivo della coscienza, alla sola luce, transitoria e intermittente, delle vittorie trafugate dell’estro creativo, nella fuga dei punti di vista.

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