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Michele Pochiero

Solitudine

Ancor solo rimango

quando l’ora giunge

del calar della sera

e l’intorno si adombra

e le membra s’acquetano

e l’anima tace.

Ed il cuor s’incupisce

e solo rimango

e senza il mio Io

che ho perso vagando

in un lago

di vuote parole.

Critica in semiotica estetica della Poesia “Solitudine” di Michele Pochiero

 

Dondolante, il verso legato del Pochiero è un lento movimento di catabasi, finanche il segno stesso, identitario e verbale, resti un fragile vaso di coscienza, a versare il contenuto inconscio di senso, a confluire e a trasfigurare il molteplice formale all’unità primaria e sostanziale del silenzio.  La solitudine, così, è languida e dolente nostalgia, di un io che oltrepassa di sé giungendo la notte del cuore alla notte del cielo, per la coinonia unitaria alla natura, in una solitudine universale.

Ritorna il pettirosso sulla veranda

Tocca ora all’inverno
con il suo paniere di giorni brevi
con il buio compagno severo
di tante solitudini
di tante manie riflessive che 
ostinate vogliono dare un senso 
all’apparente immobilità del tutto.
Un vento insolitamente freddo 
s’insinua nei parchi vuoti
donando un’anima volante
a larve di foglie ammucchiate. 
Inverno, e ancora solitudine
per tante e troppe membra stanche
di anni pesanti, dai passi incerti,
insicuri, dalla memoria flebile.
Inverno, il tempo fermo 
di tante non volute attese,
il freddo, l’inverno, il buio:
ritorna il pettirosso sulla veranda
a beccare briciole di parole. 

Critica in semiotica estetica della Poesia “Ritorna il pettirosso sulla veranda” di Michele Pochiero

 

Nostalgica, la poesia del Pochiero affida al tempo naturale i contenuti emotivi per un rituale di nigredo e di attesa di rinascita. Il luogo di latenza iemale è silenzio, che riversa e reintegra il molteplice nell’uno. Il pettirosso è il sacrificio per il ritorno della luce, la rigenerazione, la speranza di primavera della parola, della coscienza.

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